Referendum, cosa cambia con il sì. Mirabelli: «Le Camere restano legittime, elezioni soltanto con una crisi»

Referendum, cosa cambia con il sì. Mirabelli: «Le Camere restano legittime, elezioni soltanto con una crisi»
Referendum, cosa cambia con il sì. Mirabelli: «Le Camere restano legittime, elezioni soltanto con una crisi»
di Diodato Pirone
Martedì 22 Settembre 2020, 09:54
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Presidente Mirabelli, lei ha presieduto la Corte Costituzionale, può spiegare sul piano tecnico che cosa succede ora all'attuale Parlamento dopo il Sì al taglio dei parlamentari?
«Nella legislatura in corso il Parlamento non viene toccato dalla legge di revisione della Costituzione. Per togliere ogni dubbio, la stessa legge costituzionale con la quale viene ridotto il numero dei componenti della Camera e del Senato, stabilisce che queste disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge. Quindi la riduzione varrà per la prossima legislatura».

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Restano possibili elezioni anticipate?
«Il Parlamento nell'attuale composizione mantiene integra la sua legittimità ed i propri poteri fino alla scadenza naturale del 2023, salvo che non si verifichino condizioni per lo scioglimento anticipato. Del resto la Corte costituzionale ha affermato il principio della legittimità del Parlamento eletto e dei suoi atti anche quando ha dichiarato la illegittimità di alcune disposizioni della legge elettorale con la quale era nato.

Ovviamente lo scioglimento anticipato rimane possibile, se e quando ne ricorrano le condizioni. È una valutazione rimessa al Presidente della Repubblica, che può disporre lo scioglimento, sentiti i presidenti di Camera e Senato, con atto controfirmato dal Presidente del Consiglio dei ministri. Può accadere quando vi sia una crisi politica che non trova soluzione, ad esempio se il Parlamento non riesce ad esprimere un governo, non può funzionare o con evidenza non rispecchia più nuovi orientamenti manifestati dal corpo elettorale in maniera molto larga e del tutto evidente».

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Ci sono precedenti all'estero di situazioni analoghe?
«Il caso italiano è unico. Non ho presente riduzioni così ampie del numero dei parlamentari all'estero non collegate ad altri cambiamenti istituzionali profondi come ad esempio la revisione delle funzioni delle assemblee in un nuovo quadro federalista o per il mutamento della forma di governo, da parlamentare a semipresidenziale».
Da un punto di vista giuridico lei crede che due Camere così ridotte potranno funzionare bene? «Il Parlamento è l'organo centrale del sistema istituzionale. In esso si esprime la sovranità popolare, mediante la rappresentanza politica attribuita dal corpo elettorale.

Gli altri organi al vertice del sistema hanno una investitura di derivazione parlamentare, come il Presidente della Repubblica, o devono godere della fiducia parlamentare, come il governo. Dunque il Parlamento deve essere sempre in grado di svolgere le sue funzioni legislative, di indirizzo politico, di controllo del governo. Per assicurare la funzionalità nella nuova composizione numerica ciascun ramo del Parlamento dovrà rivedere il proprio regolamento. È difficile, particolarmente per il Senato, far funzionare le 14 commissioni permanenti oggi esistenti, con un numero ristretto di componenti, e lascia perplessi la possibilità di far deliberare leggi in commissioni, come è consentito in molte materie, se queste sono composte da un numero esiguo di parlamentari».

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Ogni senatore rappresenterà circa 300 mila abitanti, sono pochissimi nel mondo rapporti così alti fra elettori ed eletti per una Camera col potere di sfiduciare il governo. Ha senso tenere ancora in piedi il Senato?
«Il bicameralismo paritario e la identità di competenze di Camera e Senato può apparire un appesantimento e una duplicazione di funzioni, che tuttavia dovrebbe consentire una maggiore riflessione nella approvazione delle leggi. La scelta di differenziarne le funzioni o di modellare il Senato come Camera delle Regioni è politica e richiede una incisiva modifica della Costituzione. Anche con la attuale Costituzione i regolamenti parlamentari potrebbero accentuare la convergente programmazione dei lavori di Camera e Senato e operare convenzionalmente una loro specializzazione di fatto.

La speditezza del procedimento legislativo, che richiede la deliberazione della Camera e del Senato sull'identico testo, potrebbe essere assicurata portando direttamente al voto dell'Assemblea un disegno di legge approvato dall'altro ramo del Parlamento. Inoltre si potrebbe ridurre l'uso eccessivo dei decreti legge, che sfiora l'abuso da parte del governo, assicurando tempi certi per la deliberazione sui disegni di legge governativi».

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La sua opinione da addetto ai lavori: ci saranno altri cambiamenti costituzionali?
«L'esperienza mostrerà se e quali modifiche alla Costituzione si renderanno opportune o necessarie. Il sistema istituzionale non viene stravolto con il taglio dei parlamentari e sarebbe bene non agire con precipitazione al livello delle riforme della Costituzione. Ci sono due capitoli che non richiedono modifiche costituzionali, mentre sono essenziali per il corretto ed efficiente funzionamento delle istituzioni politiche. Una buona legge elettorale può garantire, anche a numeri ridotti, la rappresentanza in Parlamento dei diversi orientamenti politici e raccordare meglio gli eletti e il corpo elettorale.

I regolamenti parlamentari possono rendere più efficiente il lavoro delle Camere. È comunque essenziale che si rafforzi il ruolo del Parlamento. Si assiste ad uno sbilanciamento che tende a rendere di fatto il Parlamento organo di ratifica dei provvedimenti che il governo assume con decreti legge, o che blinda forzando il procedimento legislativo e limitando il dibattito parlamentare mediante maxi-emendamenti. Il riequilibrio dipende in buona misura dall'atteggiamento delle forse politiche, ma anche dalla autorevolezza e dall'impegno dei parlamentari e, in definitiva, dalla selezione della classe politica».

 

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