Renzi: «M5S non mollerà il governo. Ddl Zan, vedo segnali dal Pd»

Renzi: «M5S non mollerà il governo. Ddl Zan, vedo segnali dal Pd»
Renzi: «M5S non mollerà il governo. Ddl Zan, vedo segnali dal Pd»
di Alberto Gentili
Domenica 11 Luglio 2021, 00:04 - Ultimo agg. 12:43
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Anche nel Pd c’è chi dice che bisogna rimettere mano al ddl Zan. La domanda è: perché alla Camera il testo andava bene e ora non più?
«Non prendiamoci in giro, la prego. Finché c’è il bicameralismo paritario è ovvio che le due Camere sono sovrane e padrone di fare modifiche. E al Senato i numeri sono diversi dalla Camera. Le anime belle che si scandalizzano perché cambiano i testi tra un ramo e l’altro del Parlamento dovrebbero ricordarsi che c’è solo un modo per evitare questo ping pong: superare il bicameralismo perfetto. Io, che sono andato a casa per aver provato a farlo, non accetto l’ipocrisia di chi adesso pretende che non ci siano mai cambiamenti nel passaggio parlamentare».

Viene accusato da Letta, che ha respinto la proposta di mediazione di Marcucci, di voler affossare il disegno di legge assieme alla Lega. Cosa risponde?
«L’atteggiamento di Letta è inspiegabile e controproducente.

Questo disegno di legge è a un passo dal traguardo. Vengono proposte piccole modifiche per allargare in modo significativo la maggioranza in aula. E sono modifiche che non vengono solo dal mondo cattolico ma anche da sinistra: Arci lesbica, Se non ora quando, pezzi di Pd, Leu. Ci possiamo accordare in mezz’ora e chiudere una ottima legge. Chi preferisce piantare bandierine identitarie per crescere nei sondaggi fa male innanzitutto a quei ragazzi gay che da anni aspettano questa legge. Spiace dirlo ma la legge la stanno affossando gli integralisti, non quelli che propongono compromessi».

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Probabilmente il segretario dem ha ragione a non volersi fidare delle proposte di mediazione di Salvini che sostiene l’omofobo Orban... Perché lei invece sì?
«Stiamo parlando del Parlamento italiano, non di quello ungherese. Il senatore leghista Ostellari ha fatto una proposta di compromesso che è una buona base di partenza: in Parlamento si guardano gli emendamenti italiani, non gli slogan ungheresi. E la mia proposta di mediazione porta il nome di Ivan Scalfarotto, non di Viktor Orban. Ormai Orban sta diventando l’argomento a piacere di chi non riesce a confrontarsi sul merito delle proposte e non sapendo che dire cita Orban. Ormai va di moda cosi».

Se non decollerà, com’è probabile, la mediazione con il centrodestra e si voterà in aula sulla Zan, Italia Viva cosa farà?
«Se non decollerà la mediazione ci saranno mesi di ostruzionismo, la legge andrà sotto a scrutinio segreto e chi ha voluto il muro contro muro sarà responsabile dell’affossamento della legge. Questa è la triste realtà. Ma vedo nel Pd crescere le voci di buon senso, sono fiducioso». 

Negli ultimi giorni ha duellato con Ferragni e Fedez, non ritiene sia un autogol per un politico litigare con due influencer?
«Io non ho litigato con nessuno. Chiara Ferragni ha fatto una storia per dire a 24 milioni di follower che i politici fanno schifo. Ho detto ai miei 240 mila follower che questo modo di fare è sbagliato, qualunquista, populista. Lei arriva a 100 persone, io a 1: questo è il mondo nel quale giochiamo. Ma anche solo per quella persona che mi segue rivendico il diritto e il dovere di dire che la politica non fa schifo. Fedez poi è intervenuto dopo dimostrando di non sapere nulla del ddl Zan. Ma il problema non è Fedez, per carità, il problema sono colore che pensano a Fedez come leader della sinistra. La colpa non è di Fedez ma di chi lo sostiene».

Gli influencer nell’era dei social hanno ormai assunto un ruolo politico?
«Ho scritto un libro chiamato ControCorrente per dire esattamente questo: basta con la dittatura degli influencer e dei like. Io rivendico il dovere della politica di scommettere sulle idee anche quando sono difficili da realizzare. Creare le condizioni per mettere Draghi al posto di Conte non è stato facile. Fare politica però impone di avere il coraggio di fare scelte anche impopolari».

Ha detto di essere «tentato» di firmare il referendum sulla giustizia promosso da Salvini e dai radicali? Lo farà davvero?
«Ci sto pensando. La giustizia ha bisogno di una svolta vera. Abbiamo archiviato Bonafede, grazie a Draghi. Ma la partita è ancora lunga. Nel libro dico che deve finire la guerra dei trent’anni tra magistratura e politica. È il tempo di costruire la pace. I politici devono fare le leggi senza invasioni di campo di alcuni giudici d’assalto. Ai magistrati va garantita la libertà e l’indipendenza. Sono concetti semplici, ma in questi anni sappiamo che le cose non sempre sono andate così. I referendum radicali potrebbero aiutare, vediamo come proseguirà il dibattito».

Non sarebbe un ulteriore segnale di avvicinamento al centrodestra? L’avverarsi di quella profezia che lo voleva come il Berlusconi 4.0?
«Ma dai. Il problema non è un mio avvicinamento al centrodestra, che non esiste. Più semplicemente il Pd si sta spostando verso i grillini e questo è inspiegabile, specie in un momento in cui i cinquestelle fanno molta fatica. Era accaduto anche durante la crisi quando il Pd diceva o Conte o morte. Sappiamo che le cose sono andate diversamente per fortuna».

 

M5S ha dato il via libera alla riforma della prescrizione ma questo ha scatenato l’ennesima faida interna. Una bomba piazzata sotto la poltrona del governo?
«Ma no. E’ che ormai questi ragazzi sono divisi su tutto. Era previsto. Dobbiamo rispettare il loro travaglio interno. Tanto alla fine la discussione sarà solo sul terzo mandato e sul residuo potere rimasto. Non è una bomba, ma un petardo: fanno rumore ma non fanno danno».

Dunque non pensa che Conte, una volta che sarà cominciato a agosto il semestre bianco, possa uscire dal governo?
«Non credo che gli convenga e dunque non lo farà. Romperebbe con il Pd che invece sta sposando l’agenda Draghi. Romperebbe con l’opinione pubblica. E si troverebbe a fare il capo di una roba di sinistra: la sua pochette non si intona coi toni barricaderi di Fratoianni o Di Battista».

Nel caso Draghi rischierebbe o l’esecutivo riuscirebbe ad andare avanti?
«Il governo non rischia nulla. La maggioranza è solida. E meno male che abbiamo un premier autorevole e credibile che ci rappresenta in Europa con forza e saggezza».

Letta vuole tenere il premier a palazzo Chigi fino al 2023, Salvini lo candida per il Quirinale. Lei?
«Parlare di nomi per il Quirinale sei mesi prima significa mancare di rispetto a Sergio Mattarella. C’è solo un presidente della Repubblica per volta, niente totonomi. Quando a febbraio arriveremo in aula allora inizieranno le discussioni sui nomi, il Parlamento deciderà insieme ai grandi elettori. C’è ancora molto tempo, ogni nome è prematuro».

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