Matteo Salvini contro Matteo Renzi, la guerra dei leader che si somigliano

Matteo Salvini contro Matteo Renzi, la guerra dei leader che si somigliano
Mercoledì 14 Agosto 2019, 08:41
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Matteo Renzi, che pure è in modalità tattica «non rompo le scatole a Zingaretti», ha avuto nell'aula del Senato quello che in fondo voleva: l'investitura da parte di Salvini, sia pure tra contumelie e schiamazzi, a suo vero antagonista. È scattata insomma la guerra tra i due Mattei, e l'oscuramento di Zingaretti nel comizio parlamentare del cosiddetto Capitano si è rivelata la plateale dimostrazione di ciò che con l'inizio della crisi Renzi ha cercato di ottenere: il vero Anti-Salvini non posso che essere io. «Avete visto - ha detto ai suoi l'ex premier per ora ancora dem - come Salvini esce dai gangheri appena pronuncia il mio nome? Ha il complesso dell'altro Matteo?».
Gli amici di Zingaretti, anche i più autorevoli come Paolo Gentiloni, probabile candidato premier Pd in caso di elezioni, non vedono affatto bene l'estremo protagonismo di Renzi, sia diretto sia indiretto grazie agli attacchi di Salvini. «Noi pensiamo a lavorare, e a far nascere il governo serio che serve all'Italia, le risse ci interessa i meno»: questo il mood al Nazareno. Dove si è notato, non con particolare piacere, che una sola volta nel suo discorso anti-renziano Salvini ha citato Zingaretti. E lo ha fatto con tono e parole positive: «Insieme io e lui, io da ministro e lui da presidente regionale del Lazio, abbiamo spianato con le ruspe le case dei Casamonica». Come dire: non è Nicola il mio problema, è l'altro Matteo. I due sono così simili che hanno scelto di combattersi.
Ognuno vede nell'altro il suo dirimpettaio e il suo incubo. Ma anche la propria possibilità di dare, nella contrapposizione dura di tipo a che personale, il meglio di sé. «Alla fine lo scontro vero sarà tra me e Salvini», va dicendo da giorni Renzi. E lo dice anche in chiaro: «Salvini mi telefonò, dopo la mia sconfitta al referendum costituzionale, e mi disse: mi piacerebbe un giorno incrociare le lame con te».

Matteo Renzi: «Ci provi Zingaretti, se salta tutto la responsabilità sarà sua»
 



VYNAVIL
Il giorno è arrivato ieri, è arrivato con una scarica di fendenti che da tempo non si vedevano in un'aula parlamentare, è arrivato con una virulenza del tipo: «Capisco il terrore da parte del senatore Renzi che si vada alle urne, terrore comprensibilissimo: perché sa che con i disastri che ha fatto gli italiani lo mandano a casa immediatamente quindi piuttosto che lasciare la poltrona sta qua col Vynavil». Miele per le orecchie del per le orecchie del parlamentare di Scandicci. Amici e nemici gli attribuiscono questa strategia. A tre corni.
Lascia fare Zingaretti, assumendo la posa zen o meglio da #nicolastaisereno, nel suo tentativo «giusto e sano» di trovare alleati e contenuti per un governone di salute pubblica o quel che sarà. «Se Nicola ci riesce, sarò il primo a gioirne». Ma se non ci riesce, Renzi sarà il primo a sottolineare il fallimento della strategia anti-urne di cui si sente l'anticipatore, e si giocherà il flop del segretario o per riprendersi il partito (che è il suo vero pallino dal tempo della defenestrazione) oppure per fare la sua lista la cui struttura e più o meno pronta e si aspetta soltanto l'ordine del generale per scatenare l'inferno. Nelle chat dei renziani - dove la battuta più gettonata di Matteo è la seguente: «Salvini si dimetta e torni ai suoi mojito» - il mood è questo: «Evviva la sfida tra i due Matteo, gli unici fuoriclasse di una classe politica pessima».
«La verità è che Salvini è impaurito», spiega Renzi ai suoi: «Non avete detto che ritirava i ministri? Come mai non lo fa? Non doveva che Berlusconi ormai era solo un nonnetto? Come mai gli sta chiedendo aiuto dopo averlo tanto sbeffeggiato?». Se si dovesse. Andare alle elezioni - «Mai io non voglio, c'è un Paese fa mettere in sicurezza sia sul piano finanziario sia sul piano sociale» - a Renzi la cosa forse non dispiacerebbe. Come frontman dell'Itala anti-Salvini lui ha già scelto se stesso. Deve solo decidere, ma questo non dipende soltanto da lui (e l'anti-renzismo che sta montando ai vertici dem ha una progressione geometrica e oltre a trovare Minniti in prima fila e nei paraggi anche uno scatenato Calenda) quale collocazione darsi. Dentro il Pd, ma è dura, o fuori?
Mario Ajello
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