Comunali Roma 2021, i 4 candidati insieme per la prima volta: toni pacati e niente attacchi personali

Comunali Roma 2021, i 4 candidati insieme per la prima volta: toni pacati e niente attacchi personali
di Mario Ajello
Giovedì 23 Settembre 2021, 06:35 - Ultimo agg. 11:34
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Calenda

Ha il programma più dettagliato che ci sia (quasi 2000 pagine) e lo ricorda in continuazione. Ma stavolta - merito del luogo che ha ospitato l’incontro, il Messaggero che ama la competenza ma non il personalismo? - non c’è traccia dell’arroganza o della hybris che i detrattori gli rimproverano. Calenda non fa lo scintillone. Adotta il profilo che gli è connaturato: quello dell’indipendente - rispetto a partiti, correnti, conventicole - che in fondo dai tempi del sindaco Nathan, che cambiò la Città Eterna senza appartenere a nessuno, s’è visto raramente da queste parti. Si vede che Calenda vorrebbe attaccare i competitor a testa bassa, o alta, ma si vede pure che si trattiene. Al tempo del discredito delle logiche di partito e della dimostrazione che le ammucchiate sono ingovernabili perché tocca dare strapuntini a destra e a manca, Calenda insiste sul format di quello che può permettersi - avendo una sola lista e un profilo non riconducibile alle solite parrocchie - di fare una squadra di competenti e di migliori senza condizionamenti di sorta. Ma come gli altri, per ora non svela di chi si circonderà nel caso dovesse diventare sindaco. In altri confronti, Calenda ha indossato la cravatta rossa che simboleggia un approccio combat. Ma in questo caso, camicia a righine e nessun approccio arrembante. Si vede benissimo che, mentre Gualtieri e Raggi si contendono i voti di sinistra, lui gioca a tutto campo: e prova a pescare, oltre che nel centrodestra, anche nel serbatoio dei delusi dei 5 stelle e del centrosinistra. «La mia - così spiega - è una lista che per il 70 per cento è composta da candidati mai stati iscritti a un partito». Un asset a suo dire molto importante. Rispetto agli altri, Calenda è quello che snocciola più agevolmente dati e statistiche, frutto di «un lavoro lungo e duro di conoscenza». Sapranno riconoscerlo gli elettori? Questa la scommessa. La scelta di una condotta di gara non contundente serve a dare una prova di responsabilità e di amore per Roma che, nei suoi disegni, potrebbe rivelarsi fruttuosa. La scelta di espressioni gergali - «macello», «casino», riferiti alla situazione della Capitale - risponde a un’esigenza pop che Calenda sente e che in fondo gli appartiene. Quella del pariolino, almeno a giudicare dalla performance al Messaggero, è solo una caricatura.

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Gualtieri

Un ministro per Roma.

Questo è e questo vuole essere Gualtieri. Se Max Weber parlava della «politica come professione», l’ex titolare del dicastero dell’Economia - uomo di partito al cento per cento, dal Pci quando era ragazzo al Pd oggi - incarna questa figura senza timore di sembrare fuori moda e con la certezza che in hoc signo vinces. Confortato dai sondaggi positivi - secondo con poco distacco al primo turno e vincente nel secondo - Gualtieri affronta il confronto al Messaggero con una spigliatezza che non gli si conosceva e con una sicurezza fondata su questo assunto: «Al ballottaggio saremo io e Michetti». Lui, pacatamente, è quello che si intesta il primato della competenza. Senza snocciolare (come fa Calenda) statistiche ma interpretando la parte di chi viene da lontano (cita Rutelli: «Servono 100 persone per governare Roma») per andare lontano. Gualtieri, unico dei tre candidati maschi dotato di cravatta e di colore scuro, quello istituzionale,mette continuamente in campo l’esperienza e i risultati maturati come ministro dell’Economia. Allo stesso tempo - pur non potendo suonare la chitarra e intonare Bella Ciao in questa occasione - smentisce chi lo considera un freddo incapace di comunicare. Anzi, riesce mai come questa volta a miscelare competenza («Sono uno che studia i dossier in profondità»), passione e dedizione alla causa: «Già da ministro, facendo varie nomine, ho dimostrato di saper scegliere i migliori, e così farò per Roma». Se il tono del dibattito è statomolto civile e rispettoso delle vicendevoli opinioni, la sorpresa è che proprio il pacato Gualtieri s’è rivelato (moderatamente) il più incalzante nei confronti della Raggi e almeno un paio di volte ha fatto notare: «Quello che dice la sindaca è totalmente falso». Esempio. Raggi: « Io ho portato Roma fuori dalla pandemia». Gualtieri: «Macché, sei stata completamente assente». I due devono rubarsi voti a vicenda, insistono su un elettorato simile e l’unico match diretto, ieri, lo hanno inscenato Gualtieri e Raggi anche se poi al ballottaggio - a cui stando ai sondaggi arriverà l’exministro - Pd eM5S dovranno trovare una convergenza. Ogni sillaba di Gualtieri trasuda la convinzione di poter arrivare al Campidoglio. E il Pnrr - «Da ministro ho fatto pochi annunci e tante cose, ho portato a casa il Recovery Fund e 300 milioni per Cinecittà» - è la leva su cui fa leva.

Raggi

Raggi in completo (estivo) bianco. Il vestito candido della candidata che sull’onestà-tà-tà non smette di insistere e a buona ragione. Virginia guarda avanti ma anche no: indulge sulle colpe di Mafia Capitale (del centrosinistra) e su quelle del centrodestra («La gestione Alemanno....»). E rilegge i 5 anni appena trascorsi ricorrendo alla categoria della «pianificazione» (espressione ricorrente) e della profondità: «Avrei potuto limitarmi a dare una mano di bianco e invece...». E’ sindaca uscente ma il format è quello dell’oppositrice. Non molto diverso rispetto alla retorica di 5 anni fa. Ma con in più la rivendicazione puntuta di quelli che Virginia considera suoi successi: a cominciare dal risanamento finanziario rispetto ai «250 milioni di buchi di bilancio lasciati dalle gestioni precedenti», per non dire -ma lei non fa che dirlo - della rivoluzione nei trasporti e della lotta alle mafie, dagli Spada ai Casamonica. «I partiti vogliono tornare a spartirsi Roma», è il suo claim. Ce l’ha soprattutto con Gualtieri e con il Pd. Sono quelli che teme di più. Quelli a cui deve togliere voti per sperare nel bis. La frase cruciale è questa, rivolta ai romani ancora indecisi, specie nelle periferie dove si decide tutto: «La sinistra è sempre la stessa. Non s’è mai rinnovata. Hanno rimesso dentro le liste gli accoltellatori di Ignazio Marino». A un certo punto dice che «abbiamo superato Gualtieri e andiamo a insidiare Michetti». I sondaggi non dicono questo ma Virginia, tornata alla retorica dell’opposizione, deve prendere voti alla sinistra arrembante e che è considerata sicura sfidante (vincente) del centrodestra al ballottaggio. Donna («Sono la prima donna a governare questa città dopo 2700 anni»), pragmatica («Stiamo cambiando tutto»), vittima («Le informazioni sono distorte e vi do una notizia: le imprese non fuggono da Roma. Al contrario: investono su Roma»): ecco il profilo di chi pensa di meritare il bis. Ci riuscirà? Lo storytelling di Virginia è quello di una pasionaria e le va dato atto di una volontà coriacea di combattere. Nell’incontro al Messaggero, mentre Gualtieri la bersaglia sui fatti e non facendo personalismi, la sindaca si difende e contrattacca, mostrando comunque un amore per Roma non scontato e che si spera sia replicabile da parte di chiunque prenderà il suo posto. Lei compresa.

Michetti

Niente latinorum. Niente impero romano: né Augusto né Romolo Augustolo. Un passo in avanti, a dispetto di tutti i suoi critici. Michetti dopo aver disertato gli altri confronti, a questo incontro partecipa ed è un segno di rispetto verso i romani e verso i lettori e gli affezionati del Messaggero. Spesso non entra nel dettaglio dei suoi programmi, ma distribuisce buon senso e non esagera nel ricorso alla retorica. Dimostra, anche più di altri, di aver capito che Roma ha bisogno di «pacificazione» - parola che ripete più volte, concetto di patriottismo civico che va tenuto nella massima considerazione - e se i concorrenti si mandano stoccate, ma senza esagerare, forse in ossequio alla neutralità del luogo del dibattito, lui fa la parte dell’ecumenico per eccellenza. Il che presso una cittadinanza stanca di divisioni per lo più inutili, o di carattere pseudo-ideologico e comunque artificioso e non adatto al secolo Ventunesimo, può avere il suo senso o, appunto, il suo buon senso. Michetti ripete spesso l’espressione «umiltà» ed è quello che sembra in questo il più credibile tra i quattro. Anche se l’umiltà, così come l’onestà - addirittura triplicata nella retorica del grillismo quando era trionfante: «Onestà-onestà-onestà» - può valere come pre-requisito dell’arte di governo ma poi deve esserci molto ma molto di più, va riempita di contenuti e progetti pratici di pronto impiego oltre di prospettiva per una città che - come diceva Theodor Mommsen, il grande storico dell’antichità, appena Roma diventò Capitale del regno d’Italia nel 1870 - non può vivere senza grandi visioni. Michetti, come tutti quelli che nelle competizioni elettorali sono in vantaggio, almeno al primo turno, non ha avuto bisogno di strafare. Più mediano che goleador. E così, dopo il dibattito al Messaggero, s’è guadagnato i complimenti della sua coalizione (vari messaggini positivi da parte dei leader del centrodestra) e del resto per tre ore era stato preparato al cimento dai suoi consiglieri e spin doctor. Ogni tanto, al contrario di chi parlava a braccio, ha sbirciato gli appunti che teneva tra le mani in modo da non sbagliare. E la sua condotta non ha presentato sbavature. Non pirotecnica ma concentrata, e il piede che roteava - di solito lo fa Gualtieri - può valere come segno di nervosismoma anche di concentrazione. 

 

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