Il sindaco che verrà/ La figura che serve per rilanciare la Capitale

Il sindaco che verrà/ La figura che serve per rilanciare la Capitale (nella foto Massimo Martinelli)
Il sindaco che verrà/ La figura che serve per rilanciare la Capitale (nella foto Massimo Martinelli)
di Massimo Martinelli
Sabato 10 Ottobre 2020, 00:05 - Ultimo agg. 11 Ottobre, 09:33
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Ogni campagna elettorale, si sa, comincia sempre con una cortina fumogena: una nebbiolina fatta di nomi, di ipotesi di accordo tra contendenti, di patti più o meno sotterranei. Quasi mai si arriva al traguardo con lo stesso passo - o lo stesso piede - con il quale è partita la corsa. Sta accadendo anche a Roma, con le indiscrezioni sulla candidatura di Massimo Giletti per il centrodestra e le ipotesi alternative di Calenda e Barca per il centrosinistra, che Mario Ajello racconta nel suo articolo all’interno del giornale. Nomi di peso, indubbiamente autorevoli, se collocati nel loro contesto professionale. Ma probabilmente non sono i profili di cui Roma ha bisogno in questo momento. 
E peggio sarebbe se i dem organizzassero realmente le primarie evocate dal segretario Zingaretti. Perché i nomi dei concorrenti circolati finora sono ancora più lontani dal modello di sindaco che può rilanciare davvero la Capitale. Un esempio su tutti: quello della candidatura di Giovanni Caudo, oggi presidente del terzo municipio, l’altroieri assessore all’Urbanistica della vecchia giunta Marino, nella cui veste si occupò dello stadio di Tor di Valle pur essendo legato al costruttore Parnasi, che voleva realizzare lo stesso stadio. 
E ancora, molto chiacchierato per le vicende urbanistiche della Bufalotta, all’estremità nord-ovest del municipio che oggi governa. 

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Caudo, tanto per dire, è tuttora legatissimo a quel sistema di lottizzazione della politica che per decenni ha sottratto linfa vitale alla Capitale, e che trova nel dem Goffredo Bettini il più autorevole e defilato stratega. E non è tutto, perché Giovanni Caudo, certamente tra i più titolati per la corsa alle primarie, racconta con disinvoltura di essere tuttora sotto inchiesta per i lavori di ristrutturazione delle cosiddette Torri dell’Eur. «Ho incontrato il pm e credo di aver chiarito tutto, quindi vado avanti», ha detto in una recente intervista al quotidiano Il Tempo.


Insomma, dopo le dovute premesse sul fatto che i nomi con i quali si comincia non sono (quasi) mai quelli dei candidati finali, si ha tuttavia l’impressione che la corsa sia partita con il piede sbagliato. Vediamo perché.
L’ipotesi di candidare un giornalista famoso, piuttosto che un minisindaco indagato, denuncia quanto sia minimalista il progetto che i due schieramenti hanno sulla Capitale.

Qui serve un’idea alta. Roma deve essere rimessa al centro del dibattito politico e dell’economia del Paese. La città, anche per colpa del sistema di tessere e di lottizzazione che ha caratterizzato alcune delle ultime giunte, ha raggiunto un livello di degrado urbano di cui non si ha ricordo. Significa che questa città, dalla quale lentamente sono andate via aziende, istituzioni, eventi sportivi, ora può rinascere solo se governata da una figura con spiccate qualità manageriali, dotato di una squadra di tecnici che riprendano in mano i settori dimenticati della pubblica amministrazione capitolina: i trasporti, il pubblico impiego, la viabilità, il verde pubblico, lo sport, le scuole, il commercio. Serve un direttore d’orchestra che diriga una sinfonia di rinascita con il lavoro dei suoi maestri di musica. E che sia in grado di indicare altre squadre vincenti ai vertici delle municipalizzate alla deriva. 


Tutto questo non può essere garantito da un dirigente, seppure autorevole, di partito. Oppure da un rappresentante della società civile con poca esperienza di gestione della cosa pubblica. Il primo dovrà seguire le direttive del partito nella scelta dei manager in base a criteri clientelari, come è accaduto in passato, per le logiche dissennate che governano i flussi elettorali. Il secondo, per motivi diversi, dovrebbe ugualmente affidarsi alle indicazioni di chi lo ha proiettato sul ponte di comando del Campidoglio.


Ai romani, onestamente, serve altro. Non l’ennesimo esperimento, non un’altra negazione del senso del pudore. La Capitale non può essere il laboratorio di nessuno.

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