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MATTEO SALVINI

Salvini: dalla Calabria lo sprint per compattare la Lega

Lega, è crisi: Salvini perde punti nel gradimento tra i leghisti
Lega, è crisi: Salvini perde punti nel gradimento tra i leghisti
di Mario Ajello
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 23 Settembre 2021, 10:03 - Ultimo agg. : 20 Febbraio, 16:08
5 Minuti di Lettura

La Calabria. Ormai è la terra prediletta da Matteo Salvini. Anche oggi il leader della Lega è lì in campagna elettorale. E vincere in Calabria, dove comunque il candidato governatore è di Forza Italia (Occhiuto) è cruciale per Salvini perché almeno la sua strategia della Lega nazionale che fa acqua da tutte le parti e non è mai piaciuta a gran parte del Carroccio a vocazione nordista non avrà anche ufficialmente il timbro del fallimento. Il fatto è che Salvini è in difficoltà ad ogni latitudine e sia dentro sia fuori dal partito. Il tema Green pass ha fatto emergere tutte le ambiguità della sua linea (tortuosa: da Nì Vax) e tutte le divisioni interne a un mondo e a un corpo elettorale, quello leghista a maggioranza veneta e padana, che in nome della produttività non è disposta a giocare ideologicamente con il tema della salute.

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Insomma, c’è tutto questo nella spaccatura del Carroccio nel voto sul decreto Green pass alla Camera con tanto di fiducia: i salvinisti doc assenti (“I deputati sono persone libere”, li giustifica lui) e quelli più vicini alle posizioni di Giorgetti e dei governatori del Nord (Fedriga: “Nella Lega non c’è posto per posizioni No Vax”, ma Salvini: “C’è posto per tutti”) che tra il Capitano e Draghi sembrano ormai più sensibili al secondo o almeno lo ritengono più adatto a rappresentare in questa sua politica sanitaria le esigenze del Nord produttivo. Fratture profonde. E alla Camera ieri fioccavano nelle conversazioni tra leghisti freddure del tipo: “In fondo Matteo è rimasto quello speaker di Radio Padania che è sempre stato. Ma quando cresce?”. Salvini però è anche quello che ha portato la Lega dal 4 al 34 per cento alle Europee 2019 (ora i sondaggi la danno al 20 con tendenza a decrescere ancora) e l’unico leader possibile al momento per questo partito. Ad oggi la Lega pur nelle grandi difficoltà del suo leader non è un partito scalabile. Ma non è neppure più l’ultimo partito leninista d’Italia, come gli piaceva definirsi, ossia basato sul culto dell’infallibilità del capo. Si tratta di un movimento in grandissima agitazione, spaccato a metà tra una leadership a cui molti dei colonnelli non riconoscono più quella lungimiranza politica che fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe messo in discussione.

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Dopo il voto del 3 e 4 ottobre, che non promette nulla di buono, ci sarà un corposo pezzo di Carroccio pronto a chiedere conto a Salvini delle sue scelte. In primo luogo, la decisione di trasformare un partito autonomista, saldamente ancorato alle ragioni del Nord, in una forza nazionale e con una decisa tendenza verso destra. Quando invece - così ragionano nella Lega i giorgettiani - la svolta moderata e filo Ppe sarebbe quella giusta: per prendere il posto di Forza Italia come partito responsabile e arginare FdI nella ridotta dell’opposizione e della marginalità sovranista a livello europeo. Il redde rationem inizierà il 5 ottobre, quando le urne certificheranno il crollo di consensi della Lega nazionale che Salvini è riuscito a portare oltre il 30 per cento. Con quei numeri era facile decidere con disinvoltura. E gli oppositori interni si guardavano bene dal farsi sentire. Ma se - come dicono molti dei sondaggi riservati nelle mani delle segreterie dei partiti - Fdi scavalcherà la Lega, la storia è destinata a cambiare. Soprattutto se accadrà a Milano, capoluogo e cuore della Lombardia che al Carroccio ha dato i natali (era il 12 aprile 1984 quando Bossi si presentò davanti a un notaio di Varese e firmò l'atto costitutivo della Lega lombarda).

È in questo scenario che, all'interno della Lega e tra i suoi alleati, non si fa che ripetere: “Matteo è in confusione”. Ma è anche un leader imprevedibile, capace di svolte e comunque è ben deciso a non mollare il governo Draghi anzi a intestarselo - a dispetto di tutte le evidenti contraddizioni - sempre di più. “Giorgetti è lì perché c’è l’ho mandato io”, ripete per sottolineare sia il suo comando sia la sua linea governista. C’è però un sondaggio riservato della Swg commissionato dalla Lega e dice: il 90 per cento degli elettori del Carroccio al Nord non solo è favorevole al Green pass, ma è addirittura per l'obbligo vaccinale. Ma di sondaggi non pubblici ne girano anche altri.

 

Uno ha testato il gradimento dei leader della Lega su tutto l'elettorato italiano (quindi non solo del Carroccio). Il risultato, che è girato in questi giorni nelle chat e nelle conversazioni dei colonnelli, è implacabile: primi Zaia e Fedriga quasi a parimerito, terzo a seguire Giorgetti, quarto - ben otto punti sotto - Salvini. Perciò nel Carroccio c’è chi pensa a uno scenario di questo tipo: proporre a Salvini una soluzione di compromesso, restare leader del partito ma lasciare a chi ha più chanche la candidatura a premier alle prossime elezioni. Ma come soluzione, se davvero potrebbe avverarsi, sarebbe esplosiva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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