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CORONAVIRUS

Sanità, piano da 75 miliardi di euro: oltre la metà al Mezzogiorno

Sanità, piano da 75 miliardi di euro: oltre la metà al Mezzogiorno
​Sanità, piano da 75 miliardi di euro: oltre la metà al Mezzogiorno
di Ettore Mautone
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 6 Settembre 2020, 00:35 - Ultimo agg. : 13:16
5 Minuti di Lettura

È un vero e proprio piano di rinascita del Servizio sanitario nazionale, articolato in una trentina di macrosettori di investimento e altrettanti capitoli di spesa, quello che in attesa del Mes (se mai arriverà) viene intanto finanziato con 75 miliardi del Recovery Fund. Un progetto elaborato in una prima bozza inviata dal ministro della Salute Roberto Speranza a Palazzo Chigi subito dopo la pausa di Ferragosto ma che, rispetto alle anticipazioni fornite da Quotidiano sanità, vede lievitare la torta dei finanziamenti nel piatto dai 68 miliardi annunciati a oltre 75 mantenendo però fissa la barra di navigazione sugli obiettivi del Piano.

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Investire nei punti riconosciuti deboli dei sistema Salute italiano, messi a nudo durante la fase acuta dell’epidemia da Coronavirus e cogliere al volo l’occasione storica e irripetibile di riequilibrare le diseguglianze tra i cittadini di regioni del nord e del sud del Paese in termini di servizi accesso alle cure, strutture, strumenti, tecnologie e personale. Sulla scia di questa scelta politica nella fase di riparto dei fondi più del 50% (dai 40 ai 45 miliardi) finiranno al Mezzogiorno. Nella griglia delle assegnazioni ci saranno regioni di fascia A, prevalentemente del Nord, già ben organizzate e strutturate, che comprendono Veneto, Emilia, Toscana, con a ruota la Lombardia (a cui sarà dedicata però maggiore attenzione per alcune avarie denunciate durante lo stress test dell’epidemia) che assorbiranno una minore quota di risorse. Altre di fascia intermedia dove molte attività esistono ma vanno potenziate e infine quelle di fascia C, tutte concentrate al Sud, in cui sono accese spie rosse per ogni singolo settore individuato dal Piano e c’è da intervenire profondamente con realizzazioni che in molti casi partono da zero o quasi. 

Basti pensare ai nuovi standard dell’assistenza territoriale, cerniera con l’ospedale e le reti dell’urgenza tempo dipendenti (Infarto, Ictus e trauma) o ai presidi a degenza temporanea, destinati ad accogliere i pazienti convalescenti per 15-20 giorni dopo un ricovero in ospedale ma prima del ritorno a casa. Ovvero le Case della Salute, strutture assistenziali gestite dalla medicina e pediatria di famiglia e dall’area della specialistica ambulatoriale, orientate alla prevalente cura infermieristica e dalla forte vocazione sociosanitaria, posizionate su un gradino più alto rispetto agli ambulatori e ai servizi diagnostici e di assistenza di prossimità dei distretti o rispetto agli studi dei medici di medicina generale. Tutte strutture che al Sud sono praticamente da realizzare di sana pianta, concepite per avere una capillare diffusione in base al bacino di utenza (rispettivamente da 10 mila o 15 mila abitanti) che ne connoterà la complessità Luoghi di continuità delle cure, di accoglienza e orientamento posizionati anche nelle aree rurali, finalizzati a ridurre le disuguaglianze, frenare lo spopolamento delle campagne, migliorare l’accessibilità alle cure, garantire sviluppo e occupazione. Un faro di riferimento e di prossimità per cittadini e pazienti a cui ci si può rivolgere in ogni momento per risposte concrete ai primi bisogni senza andare in pronto soccorso e per ottenere una risposta unitaria in un unico luogo (medicina primaria, specialistica ambulatoriale, infermieristica, diagnostica strumentale, accoglienza, sportello Cup, area dei servizi sociali). Un altro anello centrale del piano sono i team integrati di medici di famiglia e specialisti per le cure domiciliari ad alta efficienza grazie all’ausilio di piattaforme di telemedicina che abbiamo già visto in azione durante la prima ondata dell’epidemia da Coronavirus (saturimetri, App per il telecontollo e il telemonitoraggio) da rendere ora una opportunità strutturate per pazienti che necessitano di continuità di cure. In questo contesto le equipe delle Usca, sperimentate per i tamponi domiciliari, potrebbero essere investite da compiti più profondi e articolati arricchiti dalla componente specialistica che ora manca. 

Un capitolo del Piano è dedicato alle nuove Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), per anziani, disabili o non autosufficienti, vero tallone d’Achille dell’epidemia da Covid-19. Qui ci saranno indicatori (in teoria già oggi esistenti) con cui misurare la qualità dell’assistenza (ricoveri ripetuti in ospedale, trasferimenti, cadute, infezioni). C’è poi il vasto capitolo della Salute mentale su cui tornare ad accendere i fari dopo gli anni bui dei tagli. Un settore trasversale che interseca l’età evolutiva e l’adolescenza, incrocia i disturbi del comportamento alimentare, guarda alle dipendenze patologiche, alla devianza giovanile. Il 5% del totale dei fondi dovrebbe essere destianto al comparto.

Da qui al capitolo della prevenzione, degli stili di vita e della promozione della salute a tutto tondo passando per le politiche di invecchiamento attivo il passo è breve. Sotto la lente ci sono accessibilità ed esigibilità dei servizi per la salute nell’ambito delle fasce di popolazione. A maggior tasso di deprivazione sociale e a maggiore povertà relativa. Il Piano su questo fronte intende rafforzare l’anello del sistema di prevenzione e sanità pubblica su cui ha maggiormente inciso la scure dei tagli nelle Regioni in Piano di rientro concentrate al sud. Un segmento da rendere efficiente anche rafforzando il coordinamento fra il livello centrale e periferico del Servizio sanitario nazionale. Qui si intende favorire il dialogo e lo scambio di competenze archiviando definitivamente la stagione dei commissariamenti. Particolare attenzione anche ai sistemi di sorveglianza delle malattie trasmissibili e non trasmissibili anche in termini di rapporto uomo-ambiente-animali investendo su medicina veterinaria e del lavoro.

Infine lo sforzo sulla sanità nelle scuola e sulla formazione universitaria e manageriale con l’introduzione da un lato di figure sanitarie qualificate all’interno degli istituti scolastici a partire dalla prima infanzia per percorsi di precoce identificazione dei segnali di disturbo del neurosviluppo (vaccinazioni, supporto psicologico a docenti e famiglie, corsi di Primo soccorso per famiglie e docenti, interventi di educazione, contrasto delle malattie infettive, prevenzione della sedentarietà, alcool, ludopatie, tossicodipendenze, aggressività, bullismo, anoressia, bulimia). Dall’altro la garanzia a tutti i laureati in medicina l’accesso alla formazione specialistica (superando l’imbuto formativo), adeguata valorizzazione della medicina generale, lo sviluppo di capacità manageriali nel governo degli enti. Per finire c’è posto per gli interventi per l’edilizia sanitaria e il contrasto alla migrazione sanitaria. 
 

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