Vaccini, intervista a Cassese: «L'Europa impari dagli Usa: è lenta e diffida troppo dell'industria»

Cassese: «L'Europa impari dagli Usa: è lenta e diffida troppo dell'industria»
Cassese: «L'Europa impari dagli Usa: è lenta e diffida troppo dell'industria»
di Diodato Pirone
Mercoledì 24 Marzo 2021, 07:36 - Ultimo agg. 18 Febbraio, 13:51
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Il professore Sabino Cassese, fra i più noti giuristi italiani, è un attento osservatore delle vicende europee. A lui chiediamo un giudizio su come l'Unione Europea ha affrontato la pandemia ma soprattutto su quali lezioni trarre a livello istituzionale e non solo.

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Professore, la campagna vaccinale non decolla per molte ragioni ma quali sono le responsabilità dell'Unione Europea?
«La Commissione europea ha stipulato contratti per l'approvvigionamento di vaccini per tutti i Paesi europei. Questi contratti, prima secretati, sono stati poi pubblicati, ma con molte parti oscurate, per riserbo o per vincoli contrattuali. Questo non consente di valutare l'operato dell'Unione. Tuttavia, sappiamo che vi sono stati inadempimenti di alcune case farmaceutiche e che si sono dovuti minacciare interventi extra contrattuali, come il blocco delle esportazioni fuori dell'Unione. Segno del fatto che i contratti non avevano garanzie sufficienti. Tuttavia, questo mi sembra un peccato veniale».
Quindi vuol denunciare peccati capitali?
«No, al contrario, perché l'Unione ha fatto qualcosa di molto innovativo, che costituisce un grosso passo avanti. Non mi risulta che, in precedenza, avesse operato come acquirente su così larga scala, per centinaia di milioni di dosi di vaccini, per conto di tutti gli Stati dell'Unione. Si può immaginare quale sarebbe stata la debolezza degli Stati se ciascuno di essi avesse proceduto da solo. Quindi, un grosso passo avanti, che si affianca all'altro passo avanti: la conquista del potere della borsa da parte dell'Ue con Next Generation EU e Sure. Voglio dire che nuove funzioni sono emerse da questa crisi, che rafforzano l'Unione Europea come potere pubblico».
Ma sulla Sanità l'Ue ha poteri modestissimi...
«Questa debolezza iniziale c'è e deriva dai trattati. La Sanità, per l'Unione Europea, è materia periferica. Il Trattato sul funzionamento dell'Ue, all'articolo 168, stabilisce che l'Unione completa le politiche sanitarie degli Stati. Gli Stati rimangono responsabili delle politiche sanitarie. L'Unione europea si interessa del ravvicinamento delle legislazioni (articolo 114), della sorveglianza, dell'allarme, del coordinamento; favorisce la cooperazione tra gli Stati; svolge inoltre funzioni in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera, di farmaci, di minacce alla sanità a livello europeo e di trapianti».
E poi c'è l'Ema, l'agenzia regolatoria dei farmaci, accusata di lentezza anche nel caso del via libera al russo Sputnik...
«L'Ema è un'Agenzia indipendente. Il punto è che sulla Sanità l'organizzazione dell'Ue è limitata. C'è una Direzione sanità e sicurezza alimentare che si interessa di proporre norme e di agevolare lo scambio di buone pratiche. Ad essa fa capo un Centro per la prevenzione delle malattie, collocato in Svezia, che ha un compito promozionale».
Sembra una intelaiatura burocratica fragile, perché allora lei dà giudizio positivo della performance dell'Unione?
«Per due motivi. In primo luogo, perché l'Unione si è guadagnata sul campo il ruolo di acquirente unico di tante centinaia di milioni di farmaci, per conto di tutti gli Stati nazionali. In secondo luogo, perché nella storia dell'Europa i segni di debolezza sono stati all'origine del suo rafforzamento. Dalle crisi è sempre venuta una spinta per innovare e rafforzare l'Unione. Il cancelliere tedesco Helmut Schmidt disse una volta che l'Europa vive di crisi».
Resta il fatto che gli Stati Uniti hanno già vaccinato, in percentuale, il doppio della popolazione rispetto all'Unione. Come hanno fatto?
«L'Unione europea è stata lenta nella negoziazione, i suoi regolatori cauti, la fornitura parziale ma, principalmente, l'Unione europea è stata attenta ai costi.

Invece, il governo gli Stati Uniti è stato molto generoso, praticamente alleandosi con le case farmaceutiche, senza la preoccupazione di essere accusato di troppo liberismo o di regalare soldi pubblici alle multinazionali del farmaco».

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