Renzi al Mattino: Sud, dopo anni di assenza ci sono piani e fondi. Amo Napoli ma la evito: De Magistris non ha stile

Renzi al Mattino: Sud, dopo anni di assenza ci sono piani e fondi. Amo Napoli ma la evito: De Magistris non ha stile
di Alessandro Barbano
Giovedì 31 Dicembre 2015, 08:52 - Ultimo agg. 1 Gennaio, 18:44
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Il premier a tutto campo in una lunga intervista al direttore del Mattino Alessandro Barbano.


Presidente Matteo Renzi, in questi giorni si è dibattuto, con accenti diversi, su quello che il governo ha fatto per il Sud. Noi, pur riconoscendo che dopo due decenni di totale amnesia delle classi dirigenti nazionali è stata rimessa in piedi una politica meridionalista, abbiamo avanzato il dubbio che essa non sia sufficiente a ridurre il divario con il resto del Paese e lo svuotamento progressivo di risorse, soprattutto umane, che affligge il Mezzogiorno. La manovra appena approvata ci pare in particolare condizionata da una filosofia dell'agire espressa più volte in questi mesi dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, la quale nega la necessità di misure specifiche di vantaggio territoriale, affermando il principio in base al quale “se riparte l'Italia, ripartirà anche il Sud”. Come risponde a questo rilievo?
«Il mio ragionamento si fonda su una duplice argomentazione. In primo luogo è vero che la questione meridionale è iscritta nella questione italiana. Questo governo si è trovato a fronteggiare un problema del sistema Paese. Se l'Italia è stata ferma per tanto tempo, ciò non è dipeso da fattori esogeni, o dal fatto che qualcuno era contro di noi, come purtroppo vent'anni di una certa letteratura politica ci hanno abituato a pensare. Non è stata colpa della Germania che non ci amerebbe, o piuttosto dell'Europa matrigna. Noi ci siamo fermati perché abbiamo rinunciato a cambiare per tempo il Paese. Se la riforma del mercato del lavoro, varata nel 2015, fosse stata approvata dieci anni prima, come è accaduto a Berlino, la nostra occupazione non avrebbe pagato il prezzo così alto che ha penalizzato un'intera generazione. Questo vuol dire che c'è, prima di tutto, un tema Italia. E qui Pier Carlo ha ragione: l'Italia per ripartire ha bisogno di consumi interni e di fiducia. Abbiamo una montagna di denaro immobilizzata che, se messa in circolazione, avrebbe un effetto moltiplicatore dirompente sull'economia nazionale. Per questo è vero che se riparte l'Italia riparte il Mezzogiorno. E per lo stesso motivo la legge di stabilità è stata finalizzata a seminare ottimismo. Grandi e piccole misure come i super-ammortamenti, la detassazione sulla prima casa, l'investimento sul contante, l'operazione fatta sull'Imu e sull'Irap agricola sono interventi che mandano un messaggio unico: ragazzi, questo è il momento per investire. Riconosco però che c'è un altro elemento di verità in questa vicenda. L'ha posto, tra gli altri, con i suoi editoriali «Il Mattino»: e cioè la necessità di riconoscere al Mezzogiorno un incoraggiamento supplementare. Questa convinzione ci ha indotto a individuare e a far approvare alcune misure ad hoc compatibili con le risorse finanziare del Paese. È legittimo domandarsi se siano sufficienti a ribaltare una situazione di obiettivo svantaggio. E riconosco altresì che si tratta di una partita molto complicata. Però una cosa è certa: per la prima volta dopo molto tempo c'è un governo che è tornato a giocarla. Allora prima di ogni cosa io dico: Vediamo come va a finire e poi diamo giudizi definitivi. Così ci siamo mossi quando abbiamo avuto chiara l'emergenza della Terra dei fuochi, ignorata per un tempo scandaloso. Io e De Luca ci siamo guardati negli occhi e abbiamo convenuto: qui c'è un patto da fare tra di noi. Se ha un senso che, io con il mio governo e tu con il tuo, ci presentiamo al giudizio dei cittadini con un risultato, le bonifiche devono partire subito. Così abbiamo messo 450 milioni di euro. Lo stesso abbiamo fatto su Bagnoli, dopo aver constatato quanto lunga, grave e pregiudizievole fosse stata la paralisi amministrativa su una delle aree di sviluppo più importanti per il Mezzogiorno e il Paese intero. Adesso c'è un commissario, Salvo Nastasi, il cui lavoro è prezioso, le bonifiche stanno per partire e mi pare che anche il Comune di Napoli ne ha compreso la necessità. Un terzo punto riguarda le infrastrutture. La linea ferroviaria Napoli-Bari era da anni poco più che un disegno sbiadito. Questo governo l'ha rimessa in pista e l'ha fatta ripartire. Stesso discorso per la Salerno-Reggio Calabria, il cui completamento è indifferibile. Certo, so bene che si tratta di opere che avrebbero dovuto essere già concluse da anni. Ma non abbiamo più tempo per piangere, e neanche per criticare chi ci ha preceduto. Dobbiamo fare e mandare segnali al Sud. Mentre le parlo, sono a Courmayeur, dove sono appena giunto attraversando la variante di valico e risparmiando mezz'ora di tempo. Presto anche al Sud i tempi di percorrenza sulle grandi direttrici saranno diversi».

Le auguriamo di inaugurare queste opere, purtroppo i tempi tra decisioni e realizzazioni continuano a destare qualche pessimismo. Pensi a ciò che è accaduto con i porti. La riforma del ministro Delrio ha avuto un anno di gestazione, sfidando la resistenza di 24 autorità portuali e di altrettanti campanili. Poi quando finalmente sembrava essere una giunta al traguardo di una governance efficiente e coordinata è arrivata la Consulta e ha fermato tutto. In questa ripartenza che lei ama raccontare, non c'è il rischio di non vedere una parte del Paese che resta fermo?
«Se tu guardi al 2015, trovi decine di esempi come quello dei porti. Ma anche altrettanti di segno diverso. E, siccome non dispongo che del mio carattere e della mia energia, a questi faccio affidamento. Certo, potrei soffermarmi sui progetti che non sono andati a segno come avrei voluto, anche in virtù di alcune sentenze, e starei a parlare da adesso a domattina. Ma a che servirebbe? Per una governance che frena ce ne sono tante che si muovono. E allora, in attesa della riforma, vediamo di mettere in cantiere i lavori che a Gioia Tauro, a Taranto, a Napoli e a Salerno sono pronti per partire. Se noi riusciamo a fare solo una parte di ciò che abbiamo deciso e finanziato, torniamo a essere competitivi. Il Canale di Suez ha raddoppiato la sua larghezza e i suoi volumi di traffico, non possiamo consentire che questa enorme massa di scambi giunga a Rotterdam senza transitare da noi. Questo è lo spirito che serve. E che ha ispirato la legge di stabilità appena approvata. Se poi basta o non basta al Sud, lo scopriremo solo vivendo. Per intanto, tutti quelli che dicevano che avevo dimenticato il Mezzogiorno adesso sono costretti a dimenticare le loro accuse. Questo non vale solo per i nostri avversari, ma anche per il Pd. Guardiamoci nelle palle degli occhi e decidiamo di capitalizzare e mettere a frutto l'investimento del governo sul Sud. Di cogliere questa occasione. Poi strada facendo discuteremo se si può fare ancora di più».

Tuttavia il governo è intervenuto con un decreto per scongiurare un referendum, firmato tra gli altri dai governatori pd del Sud, contro le trivellazioni petrolifere entro le 12 miglia dalla costa. C'è chi ritiene che le modifiche introdotte non impediranno alla Consulta di autorizzare i quesiti referendari, con il rischio di fermare anche importanti progetti petroliferi in corso. Che farete se il referendum sarà approvato?
«Trovo molto demagogiche alcune posizioni che sono state prese sul fronte dell'energia. Tuttavia non parliamo di questioni di vita o di morte, ma di un asset in più per il Paese. Perciò abbiamo cercato un punto di caduta o, direi, di mediazione ragionevole e vedremo se reggerà alla prova dei fatti».

Lo sfruttamento dei giacimenti marini non è essenziale per un Paese che ha una dipendenza energetica inaccettabile?
«Sarebbe un'occasione perduta. Ma è anche vero che in questi anni abbiamo fatto con Eni un grande investimento in tutto il Nord Africa, che ci ha dato molto fiato. Per cui non considero il referendum una questione sulla quale ingaggiare una battaglia all'ultimo sangue. Io sono pragmatico, faccio appello ai governatori a superare una certa demagogia e a verificare se si vuole e si può trovare un punto di incontro. Diverso è il ragionamento su altre questioni».

Quali?
«Per esempio la Buona scuola. Sulla quale alcuni governatori avevano lanciato un referendum, unito a una vergognosa campagna di disinformazione, per la quale si è parlato di deportati. Mi vergogno per chi ha pronunciato questa parola, se confrontata con il dolore delle donne e degli uomini che la deportazione l'hanno conosciuta sulla loro pelle. E pensare che in alcune aree, dove pure la protesta aveva incendiato gli animi, come la Puglia, il 98 per cento dei nuovi assunti per la prima volta a tempo indeterminato ha trovato lavoro nella stessa regione».

È stata la riforma più sofferta?
«Diciamo che abbiamo dovuto incassare molta cattiveria. Me li ricordo gli slogan di quelle ore, e anche la solitudine in cui abbiamo deciso di andare avanti. Nonostante sembrava che tutto il mondo fosse contro. Oggi sappiamo che, avendo mantenuto la barra dritta, abbiamo detto addio al precariato. La considero una conquista di civiltà. Chi ha parlato allora di deportati dovrebbe avere il coraggio di scusarsi. Non credo che lo farà, e non è un problema. Ma se sulla Buona scuola qualcuno pensa ancora al referendum, ci provi pure. Il governo tirerà dritto».

Ma questo rapporto con i governatori del Pd ha più di qualche crepa, no?
«No, c'è un rapporto straordinario con quasi tutti. Ci sono ovviamente posizioni che non condividiamo. Ma ciò nonostante abbiamo messo in campo tante risorse per tutte le Regioni. Penso alla ricostruzione dell'Aquila in Abruzzo, o agli investimenti su Matera capitale della cultura in Basilicata, o all'impegno con Mario Oliverio in Calabria. Lo stesso si può dire per i sindaci del Pd, penso a quelli di Bari e Reggio Calabria, che sono le città più importanti che il partito governa nel Mezzogiorno, non governando Napoli, almeno per il momento».

Vuole dire, in sincerità, che rapporto ha con De Luca? Il governatore che lei ha subito più degli altri pare sia diventato il più amato. E così?
«C'è un rapporto molto franco. Non ho scelto Enzo De Luca perché l'hanno scelto i campani con le primarie prima, e con le elezioni poi. Nel Pd funziona così: chi è bravo va avanti. De Luca si è guadagnato il posto che occupa. E ha fatto, come sindaco, un lavoro straordinario. Chi lo nega è in malafede, perché l'impegno profuso a Salerno è un esempio per molte altre città. Oggi con lui c'è non solo totale collaborazione, ma anche da parte mia grande stima personale, al netto di alcune sue dichiarazioni che non condivido, come quelle espresse su Rosy Bindi. Detto questo, avrà il sostegno del Pd, del governo e mio personale. Ci lega più di tutto la condivisione di un principio: pancia a terra su Terra dei fuochi e Bagnoli. Ma anche un impegno sull'occupazione: penso al lavoro avviato con Caldoro su Carinaro e concluso con Enzo. Nelle prossime settimane ho concordato con lui di stare due o tre giorni in Campania, per fare un giro in tutte le province. È una terra a cui sono molto legato, anche da affetti personali».

Che vuole dire?
«Mio padre veniva spesso in Campania per lavoro. Da piccolo ho passato alcune estati a Ischia: ho grandi ricordi di quegli anni spensierati e di quella terra che ho da subito imparato ad amare. Sono felicissimo quando, come è accaduto a Pompei, la Campania dimostra tutta la sua ricchezza. Per questo ho voluto dare un messaggio forte, recandomi agli Scavi alla vigilia di Natale. A testimoniare che anche qui c'è un Paese che ha un altro passo, grazie al lavoro di tutti, da Franceschini ai sindaci di Pompei ed Ercolano, dal generale Nistri e al sovrintendente Osanna. È una scommessa che ci fa sentire orgogliosi».

Ieri, in conferenza stampa, ha detto che completerà una casella mancante nel governo: il ministro delle Regioni sarà anche il Ministro del Mezzogiorno, oppure, come ha fatto intendere in passato, non ritiene utile una competenza specifica?
«È un tema che affronteremo alla ripresa. Per il momento sul Mezzogiorno lavora egregiamente Claudio De Vincenti, e credo che possa continuare. Naturalmente ne discuteremo con gli alleati della coalizione. Una cosa è certa: sul Mezzogiorno il governo c'è, e ci sarà».

Però da Napoli lei non passa più. Lo stesso faceva Napolitano. Ed è facile cogliere nella sua assenza una risposta alla strategia di conflitto con il governo intrapresa dal sindaco De Magistris.
«È vero, ed è questo uno dei miei più grandi crucci, perché amo Napoli in tutte le sue forme, dalla bellezza della città al calore della sua gente. La sua cultura mi affascina, l'altro giorno io e mia moglie ci chiedevamo come trovare le modalità per far vedere ai nostri bambini Napoli e Pompei. Mi manca questo rapporto da cittadino. Ma da presidente del consiglio sono molto rispettoso dell'autonomia istituzionale del sindaco. Egli ha voluto esplicitamente marcare un dissenso forte nei confronti del governo. Ha parlato di Comune “derenzizzato”, con scarso stile istituzionale. Io lo rispetto e cerco di evitare di metterlo in imbarazzo con la mia presenza. Questo non toglie che quando c'è da mettere i soldi su Bagnoli noi lo facciamo, anzi interveniamo alle evidenti mancanze del Comune su questo progetto. E lo stesso accade quando c'è da finanziare alcune iniziative culturali importanti. Penso al San Carlo, dove siamo in prima linea con tutti i nostri mezzi perché si tratta istituzioni di prestigio europeo. Penso ancora all'impegno del Demanio su Scampia e penso anche a quello che faremo con il Coni e con il mio amico Maddaloni in questo quartiere. E ancora, ai soldi per la metropolitana e per le scuole, che ci sono: vanno solo spesi, e spesi bene. Noi, insomma, a Napoli ci siamo. Tuttavia, se il sindaco insiste nella sua mancanza di rispetto, faremo di tutto per non creargli imbarazzi. Ma Napoli continuerà ad avere tutte le mie attenzioni. L'unico problema che ho con questa città è quel 2-1 che ha impedito alla Fiorentina di essere al primo posto. Ma ammetto che con Higuain e Insigne non era facile. E faccio i miei auguri di Buon Anno al mio conterraneo Maurizio Sarri. È un uomo verace del Valdarno fiorentino, e ha tutta la mia simpatia, anche se spero che lo scudetto quest'anno parli la lingua di un tecnico portoghese».

Gentile Presidente, stia pur certo. Cosa ha a che fare il Napoli con lo scudetto? Non ne parliamo neanche!
«Lei fa gli scongiuri. La capisco. In ogni caso riconosco che la Fiorentina è andata già oltre le sue previsioni, ma noi continuiamo a crederci. Napoli e Inter si giocano le loro chance. Il rischio, diciamo la verità, è che torni sempre lei, la Juve».

A Napoli a giugno si gioca un'altra partita. Vogliamo mettere un punto fermo su queste primarie? Si faranno, e soprattutto il 6 marzo?
«Sulle primarie ho chiesto al mio partito una moratoria, in coincidenza con i tragici fatti del Bataclan. A metà gennaio il presidente Orsini convocherà la direzione. In quella sede si deciderà. Mi pare che la data prevista sia quella del 6 di marzo per tutte le città, affinché il Pd possa presentare le candidature, naturalmente sulla base di un principio che ho io stesso richiesto».

Sta parlando dell'esclusione dei sindaci che hanno già governato per due legislature?
«La moratoria nella discussione sulle primarie riguarda anche il sottoscritto che l'ha promossa, e quindi per ora non apro bocca».

Tuttavia fonti del Nazareno hanno fatto intendere che Bassolino non era il candidato del Partito, questo vuol dire che lei proporrà alle primarie un suo candidato?
«Delle primarie ne parleremo in direzione. Punto. Non sarò io a rompere la moratoria, proprio dopo quelle polemiche».

Questo vale anche per le alleanze? Se per esempio Ncd fosse disponibile a sostenere il candidato del Pd che non fosse Bassolino?
«Vale per tutto. Ne parleremo al tempo opportuno».

Però almeno sul valore di queste amministrative vorrà dire qualcosa, o no? Oppure vale solo la scommessa che lei ha annunciato in conferenza stampa, quando ha detto «mi gioco tutto sul referendum»?
«Non è che mi gioco tutto. Ho la consapevolezza di aver promosso nel Paese cambiamenti inediti. Nel 2015 abbiamo fatto la legge elettorale, abbiamo eletto il Presidente della Repubblica, cosa che sembrava impossibile per come è avvenuta, abbiamo rimesso in piedi un Paese che era fermo da anni, abbiano invertito il declino dell'occupazione. Abbiamo dimostrato che le cose in Italia si possono fare. È chiaro che questo percorso ha bisogno di una conferma democratica, prima delle elezioni del 2018. E tale conferma non potrà essere che il referendum: che riguarda sì la Costituzione e non Matteo Renzi, ma è tuttavia il progetto più importante che il mio governo ha messo in campo. Una grande, grande, grande riforma del Paese. Credo che lo vinceremo, ma devo anche essere pronto a ogni evenienza. Siccome credo che non si faccia politica per sempre, e io ho in testa di fare politica al massimo per un altro mandato, so bene che la leadership ha senso se puoi ottenere risultati concreti. Non si resta al comando se i risultati non arrivano. Quindi il referendum è il passaggio chiave anche della mia esperienza politica».

Questo l'ha spiegato ieri, ed è chiaro a tutti. Ma le elezioni amministrative non sono ugualmente importanti?
«Sono importanti per le città».

Però converrà che se il Pd perde città come Roma, Milano e Napoli un qualche problema si pone, o no?
«Vorrei ricordare che il candidato del Pd perse le primarie a Milano cinque anni fa, poi la coalizione vinse con Pisapia. Un altro candidato del Pd ha perso a Napoli. A Roma il Pd ha vinto, ma sappiamo come è andata a finire. Quindi non partiamo da risultati strepitosi e ci vuole uno scatto. Detto questo, mentre sul referendum gli italiani votano per scegliere il futuro della democrazia, alle amministrative si va per eleggere un sindaco, quello che deve riparare le buche, mettere a posto i conti del Comune, gestire bene le partecipate. Insomma il referendum sarà una cosa diversa, o no? Sulla Costituzione sono pronto a giocarmi il posto. Sulle elezioni di Napoli se lo giocano De Magistris e i suoi numerosi sfidanti».

In un'intervista al Mattino il ministro Orlando ha denunciato il rischio che nelle città cresca la distanza tra la società e la politica. Se il consenso - ha detto - non incontra la capacità di produzione intellettuale, la politica rischia di inaridirsi. Condivide il fatto che nel Mezzogiorno questa forbice tra saperi, professioni e politica continua ad allargarsi?
«È un'analisi molto interessante. Se esiste, ed io credo che esista un problema di classe dirigente, bisogna avere il coraggio in qualche caso di intervenire. Faccio un esempio campano: a Ercolano abbiamo tolto di mezzo una situazione ingarbugliata e valorizzato un pezzo della classe dirigente del Pd che verrà, che si chiama Ciro Buonajuto. Sono molto fiero dei miei sindaci nel Mezzogiorno, se penso ad Antonio De Caro o Giuseppe Falcomatà so che si tratta di gente di grande livello. In alcuni casi c'è stato un mancato processo di rinnovamento. E di questo dobbiamo occuparci in sede di primarie e in tutto il 2016».

Il rapporto tra l'Italia e l'Europa riguarda anche il Mezzogiorno. Lei ha detto: torneremo a essere leader nel Vecchio Continente. Ma in un'Unione intergovernativa, dove la prospettiva federalista è sfumata, che cosa un pragmatico come lei punta ad ottenere? Vale di più che la Germania rinunci al surplus commerciale che, come dice Brunetta, l'ha fatta arricchire a spese degli altri, o che la flessibilità sul patto per gli investimenti sia reale e non solo virtuale, o ancora che gli aiuti di Stato siano riconsiderati in maniera meno tassativa?
«Io chiedo che ci siano le stesse regole per tutti. Sono d'accordo con Brunetta (una volta l'anno può accadere anche questo!), quando sottolinea il tema dei due pesi e due misure con riferimento alla Germania che non rispetta i parametri del surplus commerciale. È un tema che abbiano posto anche e prima noi. Lo stesso discorso vale sull'energia e sulla flessibilità. Io non chiedo più flessibilità, mi basta quella che c'è, ma voglio che ci sia in concreto e nella stessa misura per tutti. Sto facendo una battaglia per l'Europa, non contro l'Europa».

E come conta di farla? Con accordi antitedeschi con i singoli paesi?
«Io chiedo che la Commissione sia il garante del rispetto delle regole per tutti. È finito il tempo in cui all'Italia si davano i compiti da fare, anche perché quei compiti l'Italia li ha fatti. Abbiamo fatto in un anno la riforma del lavoro, siamo rispettosi del rapporto deficit-pil, abbiamo iniziato a far scendere la curva del debito, siamo i contributori attivi dell'Europa e non abbiamo niente da chiedere che non sia il rispetto delle regole. Ma questo ora lo dobbiamo pretendere».

A proposito di aiuti di Stato, l'Europa contesta l'impegno del governo sull'Ilva: il rischio che si produca un fallimento di Stato c'è tutto. Come se ne esce?
«Sulla questione dell'Ilva si va avanti, c'è un'emergenza, il governo deve salvare l'azienda, avendo la stessa cura per la tutela dei cittadini e per quella dei lavoratori. Le sfide più dure sono quelle più belle da vincere, e la vinceremo».

Teme il populismo che dilaga in Europa? Si sente assediato? Ritiene che i Cinquestelle siano una forza integrabile e addirittura assorbibile?
«Noi non vogliamo assorbire i Cinquestelle. Anzi, abbiamo fatto di tutto anche per valorizzare alcuni di questi ragazzi. Luigi Di Maio non aveva i voti per fare il consigliere comunale. È stato eletto vicepresidente della Camera con i voti del Pd. Abbiamo fatto una scommessa istituzionale, convinti come siamo che un investimento su questa nuova generazione potesse essere utile alla democrazia».

Però nei sondaggi vi fanno un po' di paura, o no?
«Mah, i sondaggi. A me i Cinquestelle non fanno paura, io ho rispetto di tutti e paura di nessuno. Il giorno prima delle Europee i sondaggi li davano in testa. Hanno preso la metà dei nostri voti. Mi pare che, dove governano, litigano e soffrono. Pensi a quello che sta accadendo a Quarto, a Gela, a Livorno, a Parma stessa. Il problema dei Cinquestelle riguarda loro, non noi. Dal mio punto di vista dico che se il movimento sarà in grado di esprimere una classe dirigente che sia credibile agli occhi dei cittadini, questo è un bene per la democrazia. Per questo noi abbiamo dato molti voti ai Cinquestelle, anche se loro se lo dimenticano».

È accaduto per l'elezione dei tre giudici della Consulta, dove lei ha tagliato fuori Forza Italia dopo l'attacco di Brunetta e trovato l'intesa con i grillini. È un esperimento che potrebbe ripetersi?
«Sì, quando si parla di questioni istituzionali. Sulla Consulta loro hanno fatto il nome di un autorevole professore, noi lo stesso, è stato fatto un accordo nell'interesse del Paese. Lo rifarei domattina. Del resto l'esito di quel voto è frutto anche di clamorosi errori da parte di Forza Italia, riconosciuti dagli stessi deputati azzurri».

Insomma, accordi tattici nell'interesse del Pd e di una navigazione che a tratti per il governo è parsa tutt'altro che facile?
«Accordi nell'interesse degli italiani. Questo vorrei che fosse chiaro. Io mi preoccupo sì del governo e del Pd, ma più di tutto mi stanno a cuore i cittadini. Ho l'occasione di fare il lavoro più bello del mondo: il capo del governo nel Paese più bello del mondo. Non sono interessato ad alimentare steccati e ideologie. Sono interessato a fare le cose. E le farò».
 
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