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Alessia Piperno, la confessione ai familiari: «Devo aiutare chi si trova ancora in Iran»

La blogger romana: «Ho sofferto perché sono finita in quel carcere da innocente. Noi italiani venivamo trattati bene»

Alessia Piperno, il racconto ai familiari: «Devo aiutare chi si trova ancora in Iran»
Alessia Piperno, il racconto ai familiari: «Devo aiutare chi si trova ancora in Iran»
di Laura Bogliolo e Raffaella Troili
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 12 Novembre 2022, 08:00
4 Minuti di Lettura

«Devo fare qualcosa per chi è rimasto lì». Perché Alessia «ha il cuore grande» e nonostante sia atterrata da poco con un volo militare a Ciampino e abbia finalmente riabbracciato la sua famiglia, sta già pensando a chi sta peggio di lei, a chi ha lasciato. «Ho sofferto molto quando stavo in carcere, per la convivenza forzata, ma anche perché era ingiusto che fossi lì, ero innocente, ma a noi italiani ci trattavano bene». Tanti europei invece sono ancora in cella. 

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Alessia Piperno, la travel blogger romana detenuta nel carcere di Evin in Iran per 45 giorni, ha parlato con la sua famiglia per tutta la notte, si è sfogata con loro, in quell’appartamento nel quartiere Colli Albani a Roma dove è cresciuta. Insieme hanno mangiato penne all’arrabbiata «un piatto semplice, come siamo noi», ha detto il fratello David. Poi per qualche ora è riuscita a dormire, mano nella mano con mamma e papà nel lettone.  

Papà Alberto, occhi tenerissimi, ieri dalla sua libreria di largo dei Colli Albani continuava a ripeterlo: «Alessia ha il cuore grande, tra le prime cose che mi ha detto è stato che pensa a chi è rimasto lì». «Ho sofferto perché ero innocente», ha invece ripetuto al telefono al nonno Isaia Sermoneta, che tutti chiamano Franco, 92 anni. Non ce l’ha fatta ieri ad andarlo a trovare. «È molto provata, non è stata toccata a livello fisico, ma emotivo e psicologico», dice il papà mentre accoglie amici e semplici conoscenti nel negozio “Di libro in libro”. C’è chi ha portato rose, poi un mazzo di fiori gialli, ma anche paste per festeggiare. 

Alberto sembra ancora sotto choc, ha le lacrime agli occhi, si commuove, quando parla di «David, un funzionario dell’ambasciata italiana in Iran che chiamavamo ogni giorno: parlare con lui ci faceva sentire più vicini a nostra figlia». E racconta anche il dramma di mamma Manuela. «È come se si fosse annullata, soffriva troppo, non sapevamo se nostra figlia ce l’avrebbe fatta». Il giorno più brutto? «Quando è scoppiato l’incendio nel carcere di Evin, mia moglie ha avuto un attacco di panico». Invece Alessia ce l’ha fatta, «è stata coraggiosa e bravissima sin dall’inizio». Dopotutto è riuscita a chiamare la famiglia appena arrestata. «Non sappiamo come ci sia riuscita, un funzionario ci ha detto che non capita mai e che stavamo già un passo in avanti perché sapevamo che era viva e dove era stata incarcerata».

Video

Giovedì, poi, è arrivato finalmente il giorno della liberazione. «Credevo mi stessero trasferendo in un’altra prigione, poi quando sono arrivata in ambasciata mi sono tranquillizzata», ha raccontato alla famiglia. «Appena ha capito che era diretta verso l’aeroporto, ha provato a chiamarci con il satellitare, ma ha detto che la linea cadeva - ha spiegato Alberto - e così siamo stati avvertiti dal premier Giorgia Meloni, ci ha chiamati in negozio. È stata l’emozione più grande della mia vita, siamo corsi subito via».

«Alessia - ha aggiunto il papà - è stata l’unica europea liberata, il governo è stato bravissimo, non so come abbia fatto, ringraziamo con il cuore tutti, la Farnesina, l’ambasciata italiana in Iran, il ministro degli Esteri e ovviamente Meloni: fortunatamente l’Italia ha un ottimo rapporto con l’Iran». 

Silenzio. È stata la parola d’ordine che la famiglia ha seguito durante la prigionia. «Io volevo subito partire per l’Iran, ma mi hanno detto che sarebbe stata la cosa peggiore da fare, dovevo restare calmo e non alzare polveroni, ci siamo fidati ciecamente delle autorità italiane e abbiamo fatto bene, ce l’hanno riportata sana e salva a casa». La famiglia per 45 giorni è rimasta in silenzio, trincerata dietro il dolore. «E so che l’Iran ha apprezzato molto il nostro atteggiamento, il nostro silenzio». Alessia ha continuato a sperare, non si è mai arresa e nonostante le condizioni estreme ha continuato a preoccuparsi per la sua famiglia. «Non so se potrò fare gli auguri di compleanno a papà», aveva detto ai funzionari dell’ambasciata mentre era in prigione. E Alberto, quando gli hanno riferito questa frase, ha subito capito «che era stata proprio lei a dirla, si preoccupava per noi, ci hanno spiegato che altri detenuti non pensano a chi è fuori». Alessia ieri sera ha visto il Tg, è rimasta a casa, non si è neanche affacciata dalla finestra. Ha continuato a pensare a chi è rimasto lì, ma non è ancora pronta a ripartire. «Ha detto che ora vuole stare un po’ con noi, fermarsi qualche mese», dice Alberto che però assicura: «Sono consapevole che se non continuasse a viaggiare non sarebbe più lei, è la sua vita dopotutto. E noi - conclude - non vorremmo mai tarparle le ali». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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