«Nella lingua italiana la declinazione al femminile, in “a”, esiste, ma non viene mai utilizzata, questo perché alcune professioni fino a poco tempo fa sono state esclusivamente appannaggio maschile. Con il riconoscimento del titolo al femminile facciamo capire che ci siamo, che ci si può contare, e che non siamo ombra o eccezione in questa e in altre professioni».
Le strade sono degli uomini: solo 7 su 100 intitolate a donne. E le statue femminili quasi non esistono
Già in altre città è prevista sul timbro la dicitura al femminile: prima a Roma, poi Bergamo, Torino, Milano, Udine e infine Modena.
Bisogna però fare una richiesta. «C’è sensibilità, ma poco coraggio; ci deve essere una che comincia, e soprattutto il supporto delle altre colleghe. Viene inteso il termine al maschile come neutro, ma la lingua italiana ne è priva, a parte pochissime parole; per cui l’utilizzo è improprio. La donna è spesso vittima di un pensiero di matrice maschile, e quello che mi auguro è che possa seguire un percorso di autodeterminazione, indipendente dall’uomo. La differenza tra uomo e donna esiste, la parità ancora no, e questo lo dimostra il gender gap, in Italia ancora elevato, e ci definiamo industrializzati e civilizzato. Qqueste piccole battaglie sono il primo modo di cambiare il resto, e tutti dobbiamo fare il nostro piccolo, come con un compasso: dal cerchio più piccolo a quello più grande, dalla cerchia di amici a tutti gli altri, attraverso l’educazione e facendosi sentire».