Per salvare l'azienda di famiglia
​non pagava l'Iva: assolto

Per salvare l'azienda di famiglia non pagava l'Iva: assolto
Sabato 9 Febbraio 2019, 19:37 - Ultimo agg. 21:03
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Aveva fatto di tutto per salvare l'azienda di famiglia, fondata nel 1969 e un tempo nota per la produzione di scarpe per bambini ed adolescenti di marchi prestigiosi. Per far fronte alla mancanza di liquidità, per via della crisi che nel 2010 aveva investito il settore calzaturiero, aveva pure messo mano al patrimonio personale versando 9 milioni di euro. Una cifra notevole che aveva scelto, però, di usare non per saldare i debiti con il fisco, ma per un piano di rilancio imprenditoriale nella speranza di non chiudere i battenti, di preservare un centinaio di posti di lavoro e in un secondo momento regolare i conti con l'erario. E proprio perché aveva messo in atto «una serie di iniziative concrete (...) dirette a consentirgli di recuperare quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale», un ex docente universitario, che per una grave malattia del figlio ha preso in mano le redini dell'impresa, dopo essere finito imputato per omesso versamento dell'Iva per cinque annualità, è stato assolto con formula piena dal Tribunale di Milano. Assoluzione, ora diventata definitiva, con la quale è stata applicato in modo estensivo l'orientamento giurisprudenziale in base al quale si esclude la responsabilità penale del mancato versamento delle imposte qualora si dimostri, a causa della crisi economica, l'impossibilità di far fronte alla mancanza di liquidità.

Nel caso del professore, accusato di non aver pagato l'imposta tra il 2011 e il 2017, in totale circa 1,7 milioni, il giudice Flaviana Balloi, ha accolto la tesi dei difensori, gli avvocati Francesco Arata, Claudio Schiaffino e Francesca Nobili: è stato riconosciuto, non tanto che non ci fosse capitale, ma la scelta e lo sforzo di usarlo per garantire una continuità di impresa ed evitare il crac, purtroppo «senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà». La storia di questa impresa, un tempo fiorente, è riassunta nella sentenza di primo grado e ora passata in giudicato. Il declino, ebbe inizio nove anni fa, con la crisi nel settore delle calzature per adulti che portò il professionista a mettere a punto un programma di ristrutturazione della propria rete di vendita aumentando la catena dei negozi e outlet con prodotti under 18. Un piano che si dovette scontrare con un mutuo bancario concordato ma poi revocato, tant'è che l'ex professore intervenne con fondi, 9 milioni, prelevati dal suo patrimonio personale.

Una situazione critica, a cui si aggiunsero alcune ruberie di uno dei dirigenti (poi licenziato) e altri problemi che nel 2011 portarono a «ingenti perdite con una riduzione del fatturato dl 40/45%». Cosa che «non aveva consentito di pagare i dipendenti e gli stilisti per disegnare le nuove collezioni». Così il piano di rilancio non ebbe gli effetti sperati e nonostante gli sforzi dell'imprenditore-docente che aveva «fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità», nel maggio del 2016 venne dichiarato il fallimento a Milano, città dove la società, con gli uffici operativi nelle Marche, aveva la sede legale.
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