Baby gang, il codice d’onore dei bulli e i rapporti con la mala: il 6,5% dei minori fa parte di una banda

Baby gang, il codice d’onore dei bulli e i rapporti con la mala
Baby gang, il codice d’onore dei bulli e i rapporti con la mala
di Claudia Guasco
Venerdì 7 Ottobre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 07:05
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Nella guerriglia urbana di “Athena”, l’immaginaria banlieue di Parigi del film di Romain Gavras presentato a Venezia, c’è tutto il mondo delle gang giovanili: la rabbia di chi cresce ai margini in palazzi di venti piani, chi traffica droga, i trapper con la pistola come punto di riferimento sociale. «Noi non siamo in questa situazione, né ci sono le condizioni per arrivarci. Ma attenzione, potremmo trovarci di fronte a gruppi isolati che potrebbero replicare situazioni simili», riflette Marco Dugato, ricercatore di Transcrime. 

Creare una mappa nazionale delle gang giovanili, conoscere le loro dinamiche, approfondire i contatti e le ramificazioni è il primo passo per arginare un fenomeno in crescita. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sull’adolescenza il 6,5% dei minorenni fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici, tre ragazzi su dieci hanno partecipato a una rissa. Il rapporto realizzato da Transcrime - centro di ricerca interuniversitario degli atenei della Cattolica, di Bologna e Perugia - dal Dipartimento della pubblica sicurezza e dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, è la prima classificazione sistematica delle baby gang sul territorio. Con un elemento che si impone: «Ciò che ha segnato una differenza e un’evoluzione nell’ultimo decennio è il carattere di crescente efferatezza, violenza gratuita e apparente insensatezza di alcune condotte, riconducibili spesso a uno, due ragazzi o a gruppi agglomerati in maniera fortuita», spiega Gemma Tuccillo, capo dipartimento per la giustizia minorile.

Dall’ultima analisi della Direzione centrale della polizia criminale, il numero di minori arrestati o denunciati è aumentato del 10% (circa 25.000 nel 2021), i reati di lesioni personali, danneggiamento, minacce, omicidio doloso, rapina, resistenza e violenza a pubblico ufficiale sono saliti del 20%. L’anno scorso, indicano i numeri raccolti da Transcrime, sono stati 186 i minori componenti di una banda affidati ai servizi sociali, rispetto ai 79 del 2020 e ai 107 del 2019. Il rapporto mostra come nell’ultimo triennio le gang giovanili hanno conquistato spazio «nella maggior parte delle regioni italiane, con una leggera prevalenza del centro nord». Ovunque però le regole sono sempre le stesse. Le leggi tra bande, e tra i loro membri, emergono dalle carte dell’inchiesta della Procura di Roma: primo, mai picchiare una persona disabile o con problemi fisici, tant’è che l’aggressione al diciassettenne con la sindrome di Down ha innescato una furibonda sollevazione. «C’avete tutta Roma contro. Avete scatenato un macello che manco ve immaginate. So sincero co ‘sta cosa ve siete praticamente suicidati», è uno dei messaggi di avvertimento in chat. E ancora: non infastidire e stare alla larga delle fidanzate dei componenti del gruppo, rispettare i confini territoriali, non tradire le alleanze. 

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Metà delle gang è composta in prevalenza da italiani e meno di una su tre ha una maggioranza di stranieri, indica la ricerca. I membri sono soprattutto minorenni, hanno generalmente una età compresa tra i 15 e i 17 anni, in un quarto dei casi l’età prevalente è tra i 18 e i 24 anni. La struttura è fluida, «la gran parte di questi gruppi è formata da un numero inferiore a dieci ragazzi e chi si trova in una situazione di disagio socioeconomico è meno della metà. Influente è anche l’uso dei social network come strumento per rafforzare le identità e generare processi di emulazione o autoassolvimento». Alcune formazioni compiono il salto di qualità e vengono arruolate dalle organizzazioni criminali, è il caso del “Clan Sibillo” a Napoli e della “Banda della Magliana” nel vibonese, altre si ispirano alle pandillas sudamericane, alle gang statunitensi, alle confraternite nigeriane o gruppi parigini. È il caso di “Barrio Banlieue” a Milano, che ha reclutato adepti tra gli stranieri di prima o seconda generazione. «La ricerca d’identità, l’importanza di appartenere a un gruppo, il senso d’onnipotenza tipico della giovane età, la vita che si sviluppa soprattutto sui social, le restrizioni causate da lockdown e pandemia sono soltanto alcune delle cause del fenomeno», sottolinea il prefetto Vittorio Rizzi, vice direttore generale della Pubblica sicurezza. «Scontri tra gruppi di giovani più o meno organizzati, atti di violenza e teppismo che spesso hanno come vittime altri minori bullizzati, che faticano a denunciare. Il nostro compito è quello di intercettare il disagio sul nascere, intervenire per evitare un’escalation della violenza e, soprattutto, perché le vittime abbiano fiducia nelle forze di polizia e chiedano subito aiuto».

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