Culle, il 2023 parte male: meno 10mila bimbi ma il Mezzogiorno tiene

L’Istat calcola i dati del primo trimestre: negativi rispetto a prima della pandemia

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di Marco Esposito
Domenica 28 Maggio 2023, 07:54 - Ultimo agg. 13:53
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Doccia gelata per chi sperava in una ripresa anche modesta della natalità dopo la crisi e le incertezze legate alla pandemia del Covid. Al brusco calo di nascite in Italia del 2021 e del 2022, infatti, non è seguito alcun rimbalzo ma anzi i valori peggiorano, almeno in base ai dati appena elaborati e diffusi dall’Istat relativi al primo trimestre del 2023. Le 90.986 nascite registrate nel gennaio-marzo del 2023 sono infatti il valore peggiore mai registrato nella penisola, in calo sia rispetto ai 91.658 dello stesso periodo dell’anno precedente, sia soprattutto nel confronto con lo stesso trimestre del 2020, prima cioè che si potesse avvertire l’effetto della pandemia, quando le nascite furono 100.150. Con questo ritmo, ovviamente, anche il record negativo di 393mila culle dell’intero 2022 è destinato a essere battuto.

Per il Mezzogiorno il quadro è meno fosco, grazie a una lieve ripresa dell’indice di fecondità. Rispetto al 2022 infatti il primo trimestre di quest’anno si segnala per un piccolo recupero delle culle, da 32.245 a 32.432 con la Puglia prima per incremento e la Campania seconda. Numeri modesti ma importanti perché segnalano ancora una certe dinamicità. Il Mezzogiorno infatti in termini di popolazione residente al 31 marzo 2023 pesa il 33,6% del totale Italia; ma se si guarda alle sole nascite del trimestre, la quota Sud vale due punti in più, cioè il 35,6%; valore peraltro in ripresa di qualche decimale rispetto al 35,2% del primo trimestre del 2022.

Se ci si fermasse qui, il quadro demografico del Mezzogiorno sarebbe roseo, se non in assoluto, almeno in termini relativi rispetto al resto d’Italia. Però in un bilancio demografico bisogna tener conto anche dei flussi migratori, sia quelli nei confronti dell’estero sia quelli interni al Paese. Il Mezzogiorno nel primo trimestre del 2023 resta poco attrattivo per gli stranieri, visto che solo un quarto dei nuovi arrivi dall’estero ha preso residenza nel Mezzogiorno.

E ancora peggio va con il saldo migratorio interno: in tre mesi le otto regioni del Mezzogiorno hanno perso quasi 18mila abitanti come differenza tra movimenti in ingresso e movimenti in uscita.

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Nel bilancio demografico rientra poi ovviamente il numero di morti, valore per il quale però c’è la minore possibilità di intervento. Se infatti si può immaginare una politica in favore della natalità ed è ovviamente possibile mettere in atto azioni per l’ingresso regolare di migranti, poco si può di fronte ai decessi, almeno in un paese, come l’Italia, che ha già una delle aspettative di vita più alte al mondo. E così il primo trimestre del 2023 si è chiuso con circa mille nati e duemila morti al giorno (per l’esattezza in 90 giorni i decessi sono stati 179.101). Il saldo demografico naturale, cioè la differenza tra culle e bare, è da tempo in Italia fortemente negativo e il 2023 non fa e non farà eccezione.

La debolezza dei flussi migratori non compensa il bilancio naturale e anche nel primo trimestre di quest’anno porta un calo di abitanti, per l’Italia, di quasi 50mila persone. Per l’esattezza 47.554 in meno. Ed è il Mezzogiorno ad avere il saldo peggiore con una contrazione di 23.954 residenti per le sei regioni del Sud peninsulare e di 12.959 residenti per le due Isole. La perdita complessiva del Mezzogiorno sfiora quindi le 37mila persone e rappresenta il 78% della flessione totale nazionale. 

Tra le grandi città metropolitane, Roma perde 1.582 abitanti e si attesta a 4 milioni e 215mila; Milano continua a essere attrattiva e vede un incremento di 5.708 residenti a 3 milioni e 225mila; Napoli prosegue la retromarcia con una contrazione di 5.074 residenti a quota 2 milioni e 964mila.

La questione della natalità fa fatica a restare in cima all’agenda della politica, eppure la drammaticità dei numeri la rende il più serio dei problemi nazionali, per la difficoltà di gestire un Paese che invecchia rapidamente. Al momento la classe più numerosa, quella nata nel 1964, è forte di 978mila persone in larga parte produttive per cui non rappresenta un peso bensì una risorsa per la società. Tuttavia non è una situazione che potrà durare ancora a lungo.

Quanto alle nascite, oltre al tasso di fecondità (cioè il numero di figli per coppia) che resta al di sotto di quota 1,3 c’è il problema della inevitabile contrazione di donne con la possibilità, oltre che il desiderio, di avviare una gravidanza. Nel corso di questo 2023 infatti compiranno 48 anni 456.290 donne residenti in Italia, una popolazione che si confronta con le 278.019 donne che di anni ne compiranno 18. La flessione in appena una generazione, cioè in trent’anni, è stata quasi del 40%. Per compensare questo dato, il tasso di fecondità dovrebbe passare da 1,3 a 2,1 ovvero scavalcare quello al momento più alto in Europa e cioè gli 1,8 figli per coppia della Francia. Un’operazione difficile anche perché, come segnala l’Ipsos in un sondaggio sulla natalità, in Italia ormai c’è una fetta consistente di giovani che desidera al massimo un figlio soltanto. Per l’esattezza in un campione di età 18-34 anni il 16 per cento risponde che non vuole alcun figlio e il 15 per cento desidera il figlio unico.

La risposta «almeno 2 figli» riguarda quindi il 69% dei giovani intervistati ma, attenzione, tale valore sale al 77% tra i maschi e scende al 61% tra le donne. «Per gli uomini il desiderio è ipotetico, per le donne si confronta con difficoltà concrete», osserva il direttore dell’Ipsos Enzo Risso. Un divario finora mai rilevato di cui bisogna tener conto. Va meglio al Sud, dove il desiderio di almeno due figli è sette punti sopra la media del 69%. Tutti fattori da considerare per passare dai numeri alle scelte sul che fare.
 

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