Scomparsa di Barbara Corvi
il marito interrogato per sei ore:
«Sono innocente, ecco perchè»

Scomparsa di Barbara Corvi il marito interrogato per sei ore: «Sono innocente, ecco perchè»
di Nicoletta Gigli
Venerdì 16 Aprile 2021, 11:04 - Ultimo agg. 16:10
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TERNI Il faccia a faccia è durato più di 6 ore. Roberto Lo Giudice, 49 anni, dal 30 marzo in cella a Sabbione con la pesantissima accusa di aver ucciso la moglie Barbara Corvi e di aver fatto sparire il corpo, parla per ore. Di fronte al procuratore, Alberto Liguori, e al maggiore Elisabetta Spoti, comandante del nucleo investigativo dei carabinieri, l’indagato si tira fuori da questa terribile vicenda. Negando ogni responsabilità sulla sorte della moglie. L’interrogatorio del procuratore, Liguori, collegato con il carcere da remoto, inizia alle 15. E si concluderà poco dopo le 21. Lo Giudice è assistito dagli avvocati Giorgio Colangeli e Cristiano Conte, del foro di Roma. Attraverso i suoi legali, in sede di interrogatorio di garanzia, dopo aver fatto scena muta di fronte al gip, Simona Tordelli, aveva concordato l’interrogatorio con il procuratore con l’intenzione “di dare il suo contributo alle indagini” e di non voler “sottrarsi al confronto”. Il colloquio fiume però non avrebbe aggiunto molto alle indagini. Perché Lo Giudice, arrestato a distanza di quasi 12 anni dalla misteriosa scomparsa di sua moglie, 35 anni, di Montecampano di Amelia, insisterà proclamando la sua innocenza. E ribadendo la sua estraneità alle pesanti accuse mosse nei suoi confronti, quelle che gli hanno aperto le porte del carcere. Incalzato dal procuratore su specifici aspetti legati alle delicatissime indagini riaperte due anni fa, non avrebbe fatto altro che ripetere che lui, con questa brutta storia, non ha niente a che fare. 
L’interrogatorio va in scena qualche giorno prima dell’udienza di fronte al tribunale del riesame di Perugia. Gli avvocati Colangeli e Conte hanno depositato il ricorso con cui chiederanno per Lo Giudice l’applicazione di una misura meno afflittiva della detenzione in carcere. L’udienza al riesame è fissata per martedì. Per l’accusa sostenuta dalla procura ternana, il giorno della sua scomparsa Barbara non uscì da casa con le sue gambe. Sarebbe stata uccisa dal marito tra le 16 e le 17 e 30 di martedì 27 ottobre del 2009. Un delitto che sarebbe stato compiuto senza lasciare tracce né a casa e neppure nell’auto di lui, Roberto Lo Giudice, calabrese trapiantato ad Amelia. La svolta nelle indagini è il frutto di quel puzzle smontato pezzo per pezzo e poi ricomposto dagli investigatori dell’arma, guidati da Liguori. La rilettura delle carte messe insieme dodici anni fa porterà alla luce vari depistaggi ad opera del marito sul giallo di Barbara, inghiottita dal nulla. Viene dato valore ad un interrogatorio dell’epoca, quando un testimone invitò il carabiniere a “non perdere tempo” perché Barbara “ha fatto la stessa fine di Angela”. Il resto per inchiodare il marito della donna emergerà grazie a quello che Liguori definisce “il contributo offerto da plurimi collaboratori di giustizia un tempo facenti parte del clan Lo Giudice, per intenderci quelli delle bombe ai giudici di Reggio Calabria del 2010”. Per il procuratore, che due anni fa ha riaperto le indagini tirando fuori dai cassetti le carte ingiallite, emerge un “grave quadro indiziario dell’indagato Roberto Lo Giudice che, pur non appartenendo al clan mafioso di riferimento, nella vicenda in esame sembra averne condiviso la mentalità: il tradimento deve essere lavato con il sangue”. A Barbara, per l’accusa, è stato riservato lo stesso destino di sua cognata, Angela Costantino, moglie di Pietro Lo Giudice, che nel 1994 pagò con la vita il tradimento al marito. Il puzzle si ricompone grazie a tre collaboratori di giustizia, parenti dei Lo Giudice, che Liguori andrà a sentire per chiudere il cerchio.

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