Arrestati in Francia i terroristi rossi italiani. Ma tre già sono spariti

Arrestati in Francia i terroristi rossi italiani. Ma tre già sono spariti
di Cristiana Mangani e Francesca Pierantozzi
Giovedì 29 Aprile 2021, 07:00 - Ultimo agg. 11:13
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Alla fine, dopo quasi 40 anni, sulla lista sono rimasti dieci nomi. Ieri mattina gli agenti dell’antiterrorismo sono andati a prenderli a casa, in Francia: sette sono stati fermati, tre sono ancora ricercati. «Con loro il dossier si conclude definitivamente» hanno detto fonti all’Eliseo.

La vicenda è quella degli “esuli” italiani in Francia degli anni di Piombo, quasi tutti ex brigatisti, condannati in patria, molti all’ergastolo. Avevano trovato ospitalità grazie alla dottrina Mitterrand. È stato Emmanuel Macron a decidere che era ora di «voltare pagina», di chiudere una vicenda troppo a lungo rimasta in sospeso tra i due paesi. 

I tempi, il contesto, i sentimenti dell’opinione pubblica: «La Francia colpita dal terrorismo capisce il bisogno di giustizia di tutti gli italiani, indipendentemente dalle loro convinzioni politiche». E così oggi saranno presentati davanti alla procuratrice generale Clarisse Taron, Giorgio Pietrostefani, Marina Petrella, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Enzo Calvitti, Sergio Tornaghi e Narciso Manenti.

Sarà loro notificata la richiesta di estradizione, alla quale certamente si opporranno. La corte d’Appello deciderà se saranno necessarie misure di controllo giudiziario o detenzione in attesa della decisione finale, che potrebbe comunque non arrivare prima di due o tre anni, visto l’iter che sarà lunghissimo. 

L’orientamento per questa prima seduta sarebbe stato quello di concedere i domiciliari a tutti, anche per la loro età piuttosto avanzata e per le cattive condizioni di salute di alcuni di questi. Ma la nuova latitanza di tre di loro farebbe propendere il magistrato per un mantenimento del provvedimento di custodia proprio per il «pericolo di fuga», visto che «il gruppo vanta ancora appoggi e una rete di sostegno in Francia». Mancano all’appello, infatti, Luigi Bergamin, Maurizio Di Marzio e Raffaele Ventura. I magistrati dovranno valutare anche le condizioni di salute. Gli ex terroristi sono oggi ultrasettantenni, Pietrostefani ha subito un trapianto di fegato, Petrella era scampata all’estradizione nel 2008 proprio a causa delle sue condizioni di salute (allora era intervenuto Sarkozy). 

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È da gennaio che Francia e Italia lavoravano per «chiudere» il dossier: l’iniziale lista di circa 200 nomi di ex terroristi era scesa a 14, 12, poi a dieci persone. L’8 aprile si sono visti – a distanza – i ministri della Giustizia francese Dupont Moretti e italiana Marta Cartabia. Un faccia a faccia convocato su temi più generici di cooperazione giudiziaria, ma che è inevitabilmente virato sul nervo scoperto: l’estradizione dei terroristi rossi reclamata da decenni dall’Italia senza successo. «Le ferite lasciate dagli anni di Piombo sono ancora aperte; gli autori degli attentati delle Brigate rosse vanno assicurati alla giustizia, perché non si può lasciare senza risposta l’attesa dei familiari delle vittime che le condanne siano scontate», è stata la richiesta pressante di Cartabia. 

Poi, dieci giorni fa, la telefonata finale tra Macron e Draghi e la decisione di lanciare l’operazione “Ombre Rosse”, e di fare in fretta perché per molti di questi stanno scadendo i termini della prescrizione (l’8 aprile sono scaduti per Bergamin e il 10 maggio scadranno per Di Marzio). Sono scesi in campo la direzione antiterrorismo francese in cooperazione con gli ufficiali di collegamento della polizia italiana a Parigi (Scip e Antiterrorismo italiano), ed è scattato il blitz all’alba. 

A volere una conclusione è stato anche, fortemente, il Quirinale. «Dopo anni di temporeggiamenti e di una certa indulgenza da parte dei francesi – hanno ammesso all’Eliseo – era necessario prendere in considerazione il trauma che gli anni di piombo rappresentano per l’Italia, bisognava riconoscerlo, come chiesto esplicitamente da Mattarella e da Draghi». La «soddisfazione del governo» ha subito espresso il presidente del Consiglio, parlando dei «responsabili di gravissimi crimini di terrorismo che hanno lasciato ferite ancora aperte». La memoria «di quegli atti barbarici è viva nella coscienza degli italiani», ha sottolineato, rinnovando la «partecipazione» sua e del governo «al dolore dei familiari.

A questo punto se il magistrato riterrà che vi siano i presupposti per estradarli, la parola passerà ai processi veri e propri, che si svolgeranno - caso per caso - nella Chambre de l’Instruction, con il rito tradizionale. Si potrà arrivare fino al ricorso in Cassazione. Alla fine, toccherà al primo ministro firmare un decreto di estradizione, che però potrà essere a sua volta impugnato per un ricorso amministrativo davanti al Consiglio di stato. La strada, insomma, è ancora lunga. 

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