In Italia mille collaboratori di giustizia: la nuova vita dei boss di camorra pentiti

In Italia mille collaboratori di giustizia: la nuova vita dei boss di camorra pentiti
di Gigi Di Fiore
Martedì 1 Giugno 2021, 23:51 - Ultimo agg. 2 Giugno, 18:04
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L’ultimo aggiornamento sulle statistiche risale a tre mesi fa. E ne ha riferito in audizione alla Commissione parlamentare antimafia il generale Paolo Aceto, direttore del Servizio centrale di protezione. Ha fornito le cifre sugli attuali collaboratori di giustizia. Sono 1007, suddivisi tra 964 uomini e 43 donne. Il 35 per cento riferisce di vicende legati a clan della camorra. E sicuramente, nel quadro attuale, Giovanni Brusca resta un caso più unico che raro sul trattamento ricevuto e gli anni trascorsi in carcere. Per la sua storia criminale, infatti, ha scontato una delle maggiori pene applicabili a un collaboratore di giustizia che risponde di reati gravi come i suoi: 25 anni e tutti in carcere.

Di solito, i collaboratori di giustizia riescono quasi subito a ottenere la detenzione a casa. Fu così per due dei principali pentiti della camorra napoletana nel secondo dopoguerra: Pasquale Galasso e Carmine Alfieri. Nei loro processi, hanno sfruttato la richiesta del rito abbreviato che consente riduzioni di pena da aggiungere alle riduzioni previste dalla collaborazione.

Per lo spessore e il ruolo criminale avuto, Galasso e Alfieri si rivelarono preziosi con le loro dichiarazioni in molte indagini della Procura di Napoli e non solo. Da anni sono liberi e hanno cambiato identità. Nuovo cognome, località protetta, lavoro. Come lavoro hanno ottenuto i figli, anche all’estero, di Galasso. Qualcuno è riuscito a laurearsi e fa il professionista lontano dall’Italia.

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Vivono liberi, nell’Italia centrale, Luigi, Lovigino, Giuliano e la moglie Carmela Marzano. Nomi protagonisti delle cronache di una trentina di anni fa, esponenti del clan egemone nel quartiere Forcella di Napoli. Liberi anche i fratelli di Luigi Giuliano che, come lui, iniziarono a collaborare con la giustizia nella seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso. Come ha confermato il generale Aceto, durante i processi e l’avvio della collaborazione, i pentiti vengono trasferiti con i familiari in una località protetta. Liberi, o ai domiciliari.

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Il periodo medio di protezione e di collaborazione con la giustizia, ha riferito il generale Aceto, è di sei anni e due mesi. Solo il 20 per cento dei collaboratori supera i dieci anni di protezione. E in questo caso si tratta di pentiti di particolare importanza e dalle dichiarazioni rivelanti, utilizzate da più Procure. Anche su questo, emerge la particolarità di Brusca che è riconosciuto collaboratore di giustizia da 21 anni e lo sarà da libero per altri quattro, vigilato dal Servizio centrale di protezione. Fu arrestato nel 1991 Carmine Schiavone e due anni dopo divenne collaboratore di giustizia. Il primo nel clan dei Casalesi. Dopo cinque anni era già libero e fu sentito anche dalla commissione parlamentare antimafia, raccontando dell’affare rifiuti tossici gestito dal clan. È morto nel 2015. Altro pentito noto della camorra è Umberto Ammaturo, trafficante di cocaina con il Sudamerica. Ha cambiato connotati e identità, ha un lavoro e vive libero in una località protetta. Dal 2014 è diventato collaboratore di giustizia anche Antonio Iovine, boss dei Casalesi, ai domiciliari in una località protetta.

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Chi decide di collaborare con la giustizia, e viene considerato attendibile nella relazione dei magistrati e dalla commissione che fa questa valutazione, viene inserito nel programma di protezione. Significa che lascia subito il carcere e in una località protetta, a volte ai domiciliari, fa le sue dichiarazioni. Effetto immediato è il cambio di avvocato: quelli di fiducia vengono revocati, per essere sostituiti da penalisti che difendono collaboratori di giustizia e non hanno problemi di incompatibilità nel difendere esponenti affiliati alle organizzazioni mafiose.

Nei processi, la scelta è sempre quella del rito abbreviato, che viene chiesta dai difensori dei collaboratori. Consente ulteriore riduzione di pena da aggiungere a quella prevista dalla legge sui pentiti. Di solito, gran parte dei collaboratori ottiene i domiciliari anche dopo la condanna, per motivi di sicurezza. Ecco perché quello di Giovanni Brusca è stato un caso davvero particolare. Legato al suo spessore criminale, che lo ha portato a scontare 25 anni, tutti in carcere. Un caso non diffuso, per l’entità della pena, tra i collaboratori di giustizia.

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