Capaci, la vedova Tina Montinaro: «Ancora piangiamo i morti senza conoscere tutta la verità»

Capaci, la vedova Tina Montinaro: «Ancora piangiamo i morti senza conoscere tutta la verità»
Capaci, la vedova Tina Montinaro: «Ancora piangiamo i morti senza conoscere tutta la verità»
di Cristiana Mangani
Sabato 23 Maggio 2020, 09:46 - Ultimo agg. 10:39
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Capaci, 28 anni dopo, con l’emergenza coronavirus che consente solo celebrazioni virtuali o al balcone. Tina Montinaro, vedova di Antonio, caposcorta del giudice Giovanni Falcone, è tornata sul luogo dell’attentato migliaia di volte. Ed è sempre la stessa emozione, la tragedia che si ripete, i ricordi di quel pomeriggio drammatico, impossibili da cancellare.

Signora Montinaro, chi era suo marito?
«Era un uomo dello Stato, morto per proteggere un altro grande uomo dello Stato, che voleva cancellare la mafia. Definirlo una vittima di mafia, però, è sbagliato, perché lui sapeva i rischi che correva, aveva 24 anni quando ha deciso di mettersi a fianco del suo magistrato. Mi diceva: quando accadrà, mi verrai a prendere con il cucchiaino. Sapeva di poter morire, ed era sceso in guerra per combattere».
 



In tutti questi anni Cosa nostra ha subìto colpi durissimi, si può dire sconfitta?
«Queste mafie non muoiono mai, ma quel terribile periodo ha fatto sì che Palermo rialzasse la testa, che reagisse. Il giorno del funerale, nessuno si sarebbe aspettato quella incredibile partecipazione. È lì che mi sono resa conto che c’era una città che voleva cambiare. Ed è per questo che sono rimasta».

Da quel momento, la sua missione è sensibilizzare i giovani, far conoscere quegli anni bui.
«Io racconto a loro la mafia e spiego che quei 500 chili di tritolo sono entrati nella mia casa. E se oggi possiamo dire no a Cosa nostra, è proprio grazie a quegli uomini che l’hanno combattuta e sono morti»
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Cosa le chiedono i ragazzi più di frequente?
«Mi fanno tante domande, ma soprattutto vogliono sapere come si fa a capire se una persona è mafiosa. E allora io rispondo che per capirlo non devono fermarsi alla prima risposta, devono essere curiosi. Che in quegli anni la mafia vinceva anche perché la gente li appoggiava per paura. I ragazzi devono essere migliori di quanto non siano stati quei genitori rimasti indifferenti. E per poterlo fare devono conoscere quanto è accaduto».

Lei è stata molto critica quando per l’emergenza coronavirus, diversi boss al 41 bis, sono stati scarcerati.
«Più di mille famiglie hanno perso i loro figli, i mariti, i padri. Nessuno pensa che sia giusto dare la pena di morte, ma quello per cui sono stati condannati devono scontarlo e devono farlo in carcere. Non si possono mettere i boss fuori, perché uno Stato altrimenti si dimostra perdente. Non puoi far tornare i simboli sul territorio. Finisce che non ti crede più nessuno».

I magistrati e le forze dell’ordine continuano a combattere la mafia, non c’è rassegnazione.
«È vero, ci credono in tanti e vanno avanti nella loro battaglia. Non possiamo dire che la situazione non sia cambiata, ma bisogna lottare tutti insieme. Certo, non spetta al cittadino debellare la mafia, a lui si chiede di non dare il consenso, di non agevolarla. Ed è per questo che lo Stato deve essere all’altezza. Lo Stato siamo tutti quanti noi. Io faccio parte dello Stato di Falcone, del generale Dalla Chiesa, del procuratore di Palermo Gaetano Costa, e di tantissimi altri».

È contenta della verità ottenuta con il processo sulla strage?
«Quale contenta, quale verità: 28 anni di processi senza niente di concreto. Continuiamo a piangere i nostri morti, senza conoscere come sono andati veramente i fatti».

Mentre Tina Montinaro parla al telefono, il citofono di casa suona di continuo: in tanti le stanno mandando piante e fiori, perché ieri era anche il suo compleanno. «Donna, mamma, amica, sorella straordinaria», è scritto su un biglietto che accompagna una grande Kenzia. La firma, quella dei figli.
 

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