Carabiniere ucciso, acquisiti i turni di lavoro dei militari la notte dell'omicidio
«Non mi addentrerò nei fatti della notte tra il 25 e il 26 luglio, ma desidero chiarire che non sono un intermediario di pusher né, tanto meno, un informatore delle forze dell’ordine - continua Brugiatelli -. Se dopo il furto subìto ho chiamato il 112, senza aspettare l’indomani per sporgere denuncia, come mi era stato in un primo momento consigliato dai carabinieri, è stato perché ho avuto paura».
E ancora: «Quando ho chiamato il mio numero di cellulare, chi ha risposto non ha solo preteso denaro e droga per riconsegnare le mie cose. Mi hanno minacciato, dicendo che sapevano dove abitavo e sarebbero venuti a cercarmi. Nel borsello rubato, oltre al documento d'identità, c’erano anche le chiavi della casa dove vivo con mio padre, che è molto malato, mia sorella e mio nipote. Ho avuto paura che potessero far del male a me e soprattutto a loro, e per questo ho chiesto aiuto al 112. Le stesse minacce che avevano rivolto a me, sono state ripetute poco dopo, quando, con il telefono in viva voce, ho richiamato di fronte ai carabinieri il mio numero di cellulare. Il resto è storia nota, alla quale non voglio aggiungere altro, a parte tutto il mio dolore e rispetto, per la vita di un giovane eroe finita troppo presto».
Poi conclude: «Chiedo ai giornalisti, anche in segno di rispetto per la vittima, di smetterla con richieste di interviste che non ho intenzione di rilasciare».
Brugiatelli «non ricorda di aver detto subito dopo l'omicidio di Cerciello che gli aggressori fossero magrebini: l'unica cosa che ha detto in quel momento, in cui era sotto shock per quanto accaduto, che si trattava di persone con accento straniero», ha inoltre precisato il suo avvocato.
Il penalista, infine, annuncia che il suo assistito si costituirà parte civile per il furto subito e la tentata estorsione.