Superenalotto, il 6 da record e la lezione di Enzo che dilapidò tutto e rischiò la galera

di Carlo Avvisati
Venerdì 16 Agosto 2019, 09:00
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Adesso chi glielo dice al fortunato vincitore dei 209 milioni e rotti di euro che dalla serata dell'altro ieri, quando ha realizzato di aver infilato tutti i sei numeri del superenalotto, ha passato il guaio più brutto della sua vita e che quella a venire sarebbe stata la pars horribilis della sua parabola cinese? Si, proprio quella che Eduardo raccontava a Peppino in «A che servono questi quattrini»?. In Cina viveva un vecchio contadino solo, con un figlio e un cavallo. Un giorno se ne scappò il cavallo e i vicini andarono dal vecchio per manifestare il proprio dolore per la disgrazia capitata. «Come sapete che sia una disgrazia?», disse il vecchio. Infatti pochi giorni dopo, il cavallo fuggito ritornò portandosi appressa altri sette cavalli. Di nuovo i vicini accorsero per che dirgli «che fortuna». E il vecchio: «come sapete che sia una fortuna?». Difatti, qualche giorno dopo, il figlio cavalcando uno dei nuovi cavalli cadde e si spezzò una gamba e così va avanti la parabola. Ecco, chi glielo racconterà al lodigino, perché il vincitore è di Lodi, o almeno di quelle parti, che una jella peggiore di quella non gli poteva capitare? Nessuno, credo. Anche perché il vocabolo più innocente che è uscito dalla bocca di ogni italiano quando ha saputo della vincita dalla stampa, il giorno dopo, o dai tanti notiziari televisivi, in tempo reale, è stato «culo». Si può scrivere su un giornale sto vocabolo che, peraltro, è in italiano purissimo? Beh, ormai è andata: scritto.

Dunque, una messe di pensieri invidiosi è partita diretta verso di lui e come un temporale gli si è scaricata sul groppone. Non è vero ma ci credo: gli occhi (e i pensieri) malevoli sono peggio delle schioppettate! Avrà avuto minimo un mal di testa da 40 gocce di Novalgina. Da ieri, poi, dovrà guardarsi da tutti. Anche dalla moglie se ce l'ha. Niente, mai una sola parola dovrà uscire dalla sua bocca. Se si sapesse qualcosa è perduto. Parenti, sino al millesimo grado si presenterebbero alla porta chiedendo. Associazioni, di qualunque tipo, accorrerebbero. Senza contare la malavita: minacce di sequestri e quant'altro sarebbero il minimo sindacale da pagare per la botta di c . Domenica dieci aprile 1960, a Boscoreale, Enzo Formicola, ferroviere dello Stato, fece lui solo un tredici da 160 milioni 622 mila e 323 lire. Le cento lire della giocata se l'era fatte pure prestare. Malauguratamente mise nome e indirizzo dietro la scheda: lo andarono a svegliare a notte fonda. Ebbe anche un mezzo infarto. Il medico che gli era compare e abitava vicino a lui, gli dovette somministrare coramina a più riprese. Il giorno dopo, 150 tra parenti stretti e affini, oltre ai cronisti e a un esercito di postulanti, si accamparono nel giardino di fronte alla casa. Scappò via. Andò a Sorrento, in vacanza. Lasciò il lavoro. Fece un poco di bella vita. Per contrappasso al cognome che portava si scialacquò quasi tutta la vincita. E finì denunciato per abbandono di tetto coniugale (allora era reato grave) per essersene andato con una donna molto più giovane di lui.

Se non andò in miseria poco mancò. La moglie, sposata in seconde nozze in quanto vedovo, riuscì a salvare qualcosa. Che fortuna sfortunata quella di Formicola. E che tempi brutti si annunciano per il lodigino sulla cui testa dea bendata ha rotto la cornucopia.
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