Cinque aggressioni in 15 giorni,
​il professore è ormai in trincea

Cinque aggressioni in 15 giorni, il professore è ormai in trincea
di Maria Pirro
Giovedì 15 Febbraio 2018, 09:17 - Ultimo agg. 16 Febbraio, 01:23
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L'ultima aggressione a Piacenza: un bimbo, di 11 anni, ha preso a pugni la maestra. A Foggia il papà di un alunno si invece è scusato per aver picchiato il vicepreside: «Un gesto di impulso», lo ha definito. Ma sono sempre di più i genitori che litigano con gli insegnanti per voti e giudizi sgraditi: quasi uno su dieci, segnala un'indagine realizzata da Skuola.net. Il segno di una «incivile deriva dei rapporti tra le scuole e le famiglie»: è l'allarme lanciato dall'Anp, l'associazione nazionale presidi. Sono già cinque gli episodi di violenza registrati tra i banchi tra fine gennaio e metà febbraio, in quindici giorni. «Siamo in trincea», dicono i docenti preoccupati.

Ad Avola, il record negativo. Un diciassettenne appena sospeso ha scaraventato una sedia contro la finestra. Suo padre è piombato nella stanza del dirigente scolastico ed è stato denunciato. Come la coppia dello stesso comune siciliano che dieci giorni prima se l'è presa con un altro insegnante «colpevole» di aver rimproverato il proprio figlio. A Santa Maria a Vico, nel Casertano, il gesto più doloroso: la professoressa di italiano Franca di Blasio è stata accoltellata al volto da uno studente che avrebbe voluto interrogare. «Non punitelo, ho fallito io», il suo appello in ospedale.

«La quotidiana abnegazione di tutti i lavoratori della scuola non è sufficiente, da sola, ad arginare fenomeni sociali di tale complessità», afferma Antonello Giannelli, presidente di Anp. «La violenza è vista come modalità ordinaria nelle relazioni personali ed è spettacolarizzata nei telefilm e nei talk show. I fatti più gravi tra i banchi sono singoli casi, ma anche punte di un iceberg». Difatti, Annunziata Campolattano, dirigente scolastico dell'istituto Nitti di Napoli, 90 docenti per 850 iscritti, riferisce quanto accaduto ieri: «Ho convocato i genitori di tutti i 25 alunni per i comportamenti scorretti e il linguaggio volgare in classe, nonostante gli ammonimenti dell'insegnante. È fondamentale stabilire regole chiare e farle rispettare». Tuttavia, avverte la preside, «ci sono situazioni sempre più difficili da gestire, soprattutto quando la famiglia è in crisi, poco partecipe oppure vede la scuola come un'appendice della pubblica amministrazione». In quest'ultimo caso «i genitori si ergono ad avvocati difensori dei figli e il tribunale familiare emette sentenze di condanna».

 

Per rendersene conto basta citare il ricorso al Tar di Palermo, da poco respinto, presentato da una coppia di Canicattì, in provincia di Agrigento, decisa a far alzare il voto del figlio alla licenza media: non l'auspicato «eccellente», dieci su dieci, ma solo «ottimo». Norberto Gallo, il segretario a Napoli sospeso dalla Cgil Fp, insegna storia e filosofia a Scampia e rivela divertito «il più bel complimento ricevuto dai ragazzi a dir poco sorpresi: hanno riconosciuto che sono intelligente». Possibile?

Attilio Oliva, presidente dell'associazione TreeLLLe, spiega così la «deriva»: «Essere genitori di adolescenti non è mai stato facile: ma almeno, in passato, si cercava di fronteggiare la fase più difficile dell'educazione con un patto fra scuola e famiglia, che predicavano e praticavano gli stessi valori e li rinforzavano reciprocamente, l'una sostenendo il ruolo dell'altra». Oggi questo patto si è rotto: «Sembra quasi che i genitori sfoghino sul docente di turno anche il proprio malessere per quei figli che non comprendono e non governano più. Come se altri dovesse riuscire dove loro hanno fallito». Per Oliva, «quello che vediamo è il punto di approdo di un processo che viene da lontano: da quegli anni Settanta, che, prolungando miti e riti del Sessantotto, hanno messo in discussione (con molte disuguaglianze sociali) tutto l'assetto della società che avevamo ereditato da secoli. In primo luogo, il cosiddetto principio di autorità». Della scuola, soprattutto. «La scuola - fa notare - come luogo deputato alla trasmissione di nozioni e valori consolidati, e quindi appartenenti al passato, è diventata il simbolo stesso della conservazione e di tutto quel che meritava di essere contestato e spazzato via».

Quindi, l'escalation. «Queste situazioni vanno crescendo», riconosce il dirigente dell'Ufficio scolastico in Emilia Romagna, Stefano Versari, che ha chiesto una relazione sull'aggressione a Piacenza, dove si segnala anche un altro caso: in una scuola media un'insegnante è finita nel mirino di un gruppo di bulli, suoi allievi, con lancio di chewing gum tra i capelli. «Siamo in trincea, la battaglia è durissima», afferma con rabbia mista a tristezza Maria Maggiore, docente di italiano e latino, aggredita «una sola volta sola ad Aprilia, dove tanti alunni hanno già il destino segnato perché - sostiene - provengono da famiglie difficili o in cui i genitori hanno abdicato a un ruolo educativo».

«La scuola fa quello che può, ma deve essere sostenuta dalle famiglie e da tutte le istituzioni», ribadisce il dirigente dell'Ufficio scolastico della Campania, Luisa Franzese, che per intercettare il disagio ha appena promosso un progetto sulla gestione delle emozioni in 50 scuole a Napoli. Il Nitti ha già un suo sportello di ascolto in collaborazione con l'azienda sanitaria: «Perché i ragazzi sono bombardati da stimoli che non sanno governare». Campolattano li spinge a fare volontariato invece di sospendere i violenti dalle lezioni: «Sette sono già stati inviati alla Caritas e all'ospedale Pausilipon con l'associazione Gallo». Rosalba Rotondo, preside dell'istituto Alpi-Levi di Scampia, utilizza la stessa strategia contro il bullismo: «Non bisogna minimizzare la gravità dei gesti compiuti per aiutare i nostri figli», sostiene.

«Episodi di aggressione non sono mai giustificabili né verso i docenti né verso gli studenti. La scuola deve costruire una comunità», rilancia Francesca Picci, a nome dell'Unione degli Studenti. Ma, per Oliva, è decisivo aprire anche un altro discorso. Sulla riforma mai nata: «Il rifiuto del merito, parola aborrita nella scuola, ha fatto il resto. Un contratto dopo l'altro, un milione di persone si sono viste assicurare il posto, ma privare del riconoscimento individuale. Nessuno è più bravo o meno bravo di altri. Di conseguenza, appaiono tutti ugualmente grigi e privi di credibilità e di prestigio». E quando quasi un italiano su sessanta è un docente, sostiene il presidente di TreeLLLe, «è difficile che tutti facciano onore alla propria professione». Singoli casi, anche in questo scenario. «Ma senza un nuovo patto sociale nessun riscatto è possibile. Un patto che deve riguardare non solo docenti e genitori, ma i cittadini e i politici. Difficile? Certo. Ma quali alternative abbiamo?»
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