«Al nostro bimbo quel maledetto Citrobacter ha rovinato per sempre la vita lasciandogli danni irreversibili al cervello, ma adesso che è stata chiesta l’archiviazione delle accuse per i presunti responsabili Jacopo rischia di vedersi negate anche la verità e soprattutto la giustizia. Non riusciamo a farcene una ragione, io e mio marito non lo crediamo possibile, l’unica speranza che ci rimaneva era la magistratura, ma dopo questa decisione ci sta cadendo il mondo addosso». Questo lo sfogo (al Corriere della Sera) della mamma di Jacopo, bambino colpito dal citrobacter, batterio che si era annidato in un rubinetto dell’acqua utilizzata dal personale della Terapia intensiva neonatale e anche nei biberon all’ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento a Verona, principale punto nascite regionale.
Il processo
Secondo la Commissione tecnica delegata a indagare dal governatore del Veneto Luca Zaia, il «batterio killer dei bimbi» avrebbe ucciso in due anni tra il 2018 e il 2020 quattro neonati.
Gli indagati
Il mese scorso le indagini si sono chiuse confermando nei confronti dei 7 indagati (medici, ex dirigenti, manager dell’ospedale scaligero). Le accuse? Omicidio colposo e lesioni gravissime in relazione a due soli casi di contagio: per Benedetta, la bambina padovana che ha riportato danni irreversibili, e per la morte di Alice, figlia di Elisa Bettini. «Una perizia al ribasso - è insorta Francesca Frezza, che è biologa e che è stata la prima a denunciare l’emergenza citrobacter dopo aver perso la figlia Nina -. I consulenti del pm hanno diviso l’infezione in tre fasi: precoce (2018-ottobre 2019), intermedia (ottobre 2019-febbraio 2020) e tardiva (ultima settimana di febbraio-fine maggio 2020), dicendo che solo nella tardiva si poteva evitare il contagio. Mia figlia Nina, per esempio, è stata inserita nell’intermedia. Tale distinzione è assolutamente arbitraria e non condivisibile sul piano scientifico».
Genitori pronti al ricorso
«Niente processo per i nostri figli colpiti dal citrobacter? Questa non è giustizia», protestano i genitori a cui a cavallo di Pasqua è stata notificata la richiesta di archiviazione. Ora hanno trenta giorni di tempo per opporsi e chiedere al gip nuove indagini.
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