Claudio Campiti, chi è il folle di Roma. I post deliranti contro il condominio: «Mi tengono al buio, si spara meglio»

Gli altri membri del Consorzio riferiscono di ripetute denunce e minacce, anche ai bambini

Denunce, minacce e una casa «senza acqua, luce e fogna». Claudio Campiti, l'uomo della sparatoria
Denunce, minacce e una casa «senza acqua, luce e fogna». Claudio Campiti, l'uomo della sparatoria
Domenica 11 Dicembre 2022, 12:27 - Ultimo agg. 18 Marzo, 16:58
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L'unica patologia di Claudio Campiti era il diabete. Il suo medico di base gli aveva prescritto il “Glucophage” soltanto un mese fa. Non ci sono turbe psichiche o malattie della mente che sono state mai accertate e dunque diagnosticate all’uomo che ieri mattina, dopo essere andato al poligono di Tiro Tor di Quinto è uscito dallo stesso senza recuperare il documento, portandosi via così una Glock semiautomatica calibro 45 con la quale ha poi ucciso tre donne e ferito altre quattro persone. Con quella pistola si allenava pur non avendo mai ottenuto un porto d’armi: i carabinieri gliel’avevano sempre negato per via di una sfilza di denunce e segnalazioni che proprio i suoi vicini di casa avevano sporto nei mesi scorsi per le molestie e le minacce subite. È accusato di triplice omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi l'ex assicuratore nato a Roma nell’agosto del 1965, l’uomo che ha firmato la strage del condominio in un ex borgata della Capitale, quella di Fidene. 

 

IL CONTESTO
Questo è solo il proscenio della sua mattanza, mentre il dietro le quinte va rintracciato a circa sessanta chilometri da Roma, in quella “Valle” racchiusa in Sabina che presta il fianco al lago del Turano.

A Stipes, una piccola frazione tra i comuni di Ascrea e Rocca Sinibalda, c’è il consorzio “Valleverde”, quello in cui Campiti viveva almeno dal 2009 dopo la separazione dalla moglie e la fine della sua carriera da assicuratore. Qui aveva individuato quelle che sono diventate le sue vittime. «Vi ammazzo a tutti» ha urlato ieri mattina entrando nel gazebo del bar di via Monte Giberto 21 messo a disposizione dei consorziati per svolgere una riunione necessaria all’approvazione del bilancio preventivo.

Gli altri quelle villette che guardano il lago le vivevano durante le vacanze, per lo più in estate. Lui, Campiti, invece ci risiedeva da tempo tutto l’anno, non in una vera abitazione ma in una parte di manufatto la cui edificazione non era stata mai ultimata. Qui si era rifugiato e qui aveva affrontato senza mai superare quel lutto che lo aveva colpito nel 2012, quando il figlio Romano, di appena 14 anni, morì sulle piste da sci di Sesto Pusteria. 


IL DOLORE PER IL FIGLIOLETTO
Per il ragazzino non si era dato pace, aprendo un blog dove per anni ha postato lettere e missive mandate alle forze dell’ordine, alle Prefetture, ai mass-media - giornali e programmi tv - invocando giustizia per una morte “ingiusta”. Con lucidità e costanza, determinazione, postava ricordi e passi processuali. Poi c’era l’altro blog dedicato al consorzio Valleverde, “Benvenuti all’inferno”, nel quale senza reticenza o scrupolo alcuno puntava il dito e le parole contro la gestione di quel complesso che guarda il lago descrivendosi come una vittima del sistema. E anche qui nessuna farneticazione ma accuse precise a cui pure i vicini hanno sempre risposto nel tempo con segnalazioni e denunce.

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LE ACCUSE AL CONSORZIO
«Esistono i paradisi fiscali qui si ha un Paradiso Penale! - scriveva nel blog l’uomo - qui il Codice Penale (che raramente pene infligge) si usa per andare al bagno» e poi ancora: «Nella Sabina Mafiosa trovare un tecnico (geometra, ingegnere civile o architetto) che mi servirebbe per allacciarmi ora alla rete idrica e fognaria, se sei in lite con la banda locale (consorzio...) è praticamente impossibile».

Viveva così in un manufatto senza utenze. «Pretendeva di rendere abitabile lo scantinato di un palazzo in costruzione di cui c’era solo lo scheletro. Ma non si poteva abitare, non si poteva fare. Però lui ci viveva, e pretendeva che in qualche modo gli fosse riconosciuto un suo diritto. Ma non si poteva», spiegava il sindaco di Rocca Sinibalda, Stefano Micheli.

Di contro le accuse dei consorziati: «Minacce costanti verso tutti, bambini compresi», faceva di conto Luciana Ciorba, vicepresidente del consorzio. Un “fuoco” trasversale che ieri però per mano di Campiti ha lasciato dei morti sulle sedie di un bar in periferia. I sopravvissuti alla sua ira, da non confondere per follia, lo hanno bloccato perché la pistola, sottratta senza che nessuno al poligono (poi posto sotto sequestro) se ne accorgesse, si è inceppata. Con la morte che li ha sfiorati, lo hanno bloccato mentre arrivavano i carabinieri del Nucleo radiomobile. In caserma pure di fronte al pm Giovanni Musarò non ha proferito parola. In serata è stato disposto il decreto di fermo e per lui si sono aperte le porte del carcere. 

 

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