Dalle otto alle dieci tonnellate di cocaina arrivano, sbarcano, approdano in Italia, ogni mese. Entrano assieme alle banane, alla frutta esotica in genere, ai fiori, ai prodotti farmaceutici, ovunque ci sia da trasferire merci di ogni tipo. Più è alto il traffico di merci, più è facile importare cocaina, come hanno evidenziato gli ultimi sequestri messi a segno in alcuni scali strategici per i confini del sud Europa. Cocaina ovunque, anche a giudicare da una ricognizione asettica, da laboratorio: tracce di polvere bianca sono state rilevate nei soldi che vengono sequestrati in Svizzera, addosso agli spalloni; ma anche nelle banconote analizzate random, a campione, quelle che circolano di mano in mano, tutti i giorni. Ma quanta è la cocaina che arriva in Italia? Quali sono i porti più gettonati? E come funziona il mercato del più potente indotto della nostra economia? Ecco alcuni dati emersi da un’inchiesta del Mattino, sulla scorta di sequestri negli ultimi due anni nei principali crocevia italiani.
Lo scorso giugno, più di una tonnellata di cocaina viaggiava nelle banane condotte a Gioia Tauro, a conferma della rilevanza europea assunta dallo scalo calabrese. A Napoli, secondo stime arrotondate per difetto, ogni mese arrivano due tonnellate di polvere bianca. Stessa stima a Roma o a Milano, dove la roba arriva su gomma, sempre nei tir dei grandi spedizionieri che giungono dai Paesi Bassi o da Amburgo. E passiamo agli incassi. Partiamo dai costi a monte, da quando la merce è pura e viene acquistata in Perù, Colombia, Brasile e in altri paesi produttori: qui in Sud e Centroamerica, la cocaina costa duemila euro al chilo, ma si tratta di merce assoluta, non tagliata; una volta arrivata in Europa, viene venduta a trentamila euro al chilo, per arrivare poi nelle nostre aree metropolitane. Anche in questo caso, il prodotto cambia. Nel prezzo e nella qualità. Proviamo sempre a ragionare con gli esperti della narcotici: in una piazza di spaccio di una qualsiasi area metropolitana italiana - a Scampia come a Quarto Oggiaro -, un grammo di cocaina costa intorno alle sessanta euro. Ma non è più la cocaina partita dalla Colombia o da altri contesti del sud e del Cetroamerica, dal momento che si tratta di un prodotto tagliato con sostanze chimiche (che lo rendono anche più nocivo per la salute).
Un giro di affari milionario, che tiene in piedi l’economia mafiosa in Italia, anche alla luce di un altro aspetto che, a ben vedere, è l’altra faccia della medaglia: gli incassi della cocaina tengono in vita il sistema di vita di migliaia di famiglie, oltre a riprodursi in tante altre attività economiche apparentemente pulite.
Ma proviamo a capire chi sono i broker della droga. Dopo i 104 arresti messi a segno ieri in tre regioni italiane contro la cosca Molè di Gioia Tauro, fioccano conferme su equilibri criminali in uno scacchiere europeo: a Napoli, le indagini dei pm Maurizio De Marco, Vincenza Marra e Lucio Giugliano puntano su Raffaele Imperiale, attualmente detenuto a Dubai (restituì i quadri di Van Gogh rubati venti anni fa ad Amsterdam): è ritenuto legato a cartelli di narcos, ma anche a soggetti del calibro di Ridouan Taghi e Richard Eduardo Riquelme Vega, a loro volta coinvolti nella cosiddetta Mocro War in Olanda (che ha provocato più di quaranta omicidi). Nomi, sangue e affari, all’ombra dei diecimila chili di cocaina che ogni mese entrano in Italia, tramite container che trasportano banane o fiori, farmaci o spezie dell’altro mondo.