Coronavirus, i coniugi di Wuhan guariti a Roma: «Quei medici ci hanno dato una seconda vita»

Coronavirus, i coniugi di Wuhan guariti a Roma: «Quei medici ci hanno dato una seconda vita»
di Camilla Mozzetti e Lucia Pozzi
Mercoledì 29 Aprile 2020, 07:31 - Ultimo agg. 15:44
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Stanno per lasciare l'Italia la Signora Hu e il marito, il Signor Liu, per tornare in Cina, dopo il loro calvario con il Covid-19. La coppia, originaria di Wuhan, arrivata a Roma per un viaggio alla scoperta dell'Italia, era stata ricoverata all'Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani il 29 gennaio e ora sta bene, dopo aver concluso anche la riabilitazione motoria al San Filippo Neri.

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Cosa vi resta dell'Italia e che messaggio vi sentire di dare a chi combatte ancora il virus?
«La nostra conoscenza dell'Italia prima era limitata a quello che avevamo letto sui libri di scuola: sapevamo che è la culla del Rinascimento e conoscevamo Leonardo, Michelangelo. Mentre dell'Italia contemporanea sapevamo soltanto che ci sono la città del romanticismo e la capitale della moda. Durante la degenza allo Spallanzani abbiamo vissuto un salvataggio di emergenza e le cure attente del personale medico, mentre al San Filippo Neri abbiamo fatto la riabilitazione. Tutta questa esperienza ci ha permesso di comprendere molto meglio lo spirito del vostro Paese. Siamo rimasti colpiti dal sistema sanitario e assistenziale italiano e dall'alto livello del servizio medico, nonché dal lavoro responsabile e dall'umanità del personale sanitario. Al San Filippo Neri il dottore che ci seguiva ci ha detto che per lui il nostro caso non era solo una questione medica, ma che era sua responsabilità cercare anche di tenerci su di morale. Ci hanno aiutati a trascorrere il compleanno organizzando una piccola festa con tanto di torta, fiori, cioccolata e biglietti di auguri. Ne siamo stati davvero commossi. Al contempo, abbiamo potuto toccare con mano l'umanità che anima il personale medico-sanitario italiano: a prescindere da quali siano le loro mansioni, sono sinceri e positivi. Con il sistema sanitario completo di cui dispone, con l'autodisciplina dei cittadini e con l'aiuto degli altri Paesi, siamo convinti che l'Italia vincerà questa lotta difficile e, giorno dopo giorno, ne uscirà. Al contempo, per giungere a una comprensione completa del Covid-19, è necessario un percorso condiviso, affinché tutti i Paesi mettano insieme le informazioni e affrontino uniti la pandemia».
 



Siete guariti ma la vostra condizione vi ha tenuto in ospedale a lungo. Avete mai avuto paura?
«Non abbiamo avuto paura, anzi, siamo pieni di gratitudine. All'inizio non avevamo dato grande importanza a questo virus, pensavamo che in una settimana sarebbe passato tutto. Poi, invece, la situazione si è deteriorata, siamo finiti in coma e in Terapia intensiva. Al risveglio, nostra figlia e i nostri familiari ci hanno detto che per salvarci i medici e gli infermieri dello Spallanzani avevano lavorato tanto, perfino col coordinamento dell'Ambasciata cinese in Italia, facendo anche riunioni a distanza con i colleghi cinesi. Tutto questo ha permesso loro di salvarci dal baratro. Mentre eravamo in Terapia intensiva il medico che ci seguiva e sua moglie la sera rimanevano vicino ai nostri letti, come per proteggerci, un ricordo che rimane vivido nella mente. Siamo pieni di gratitudine per ogni giorno trascorso in ospedale».

Pensate che dopo questa esperienza la vostra vita cambierà?
«Potrebbero esserci dei cambiamenti. Prima di tutto, probabilmente, dovremo riaggiustare i ritmi lavorativi. In passato, raramente ci riposavamo, pensavamo sempre di aver cose da fare in sospeso, dimenticandoci della vita, della salute e degli affetti. Da ora in poi, probabilmente, rallenteremo il ritmo. Al contempo, abbiamo riflettuto sul rapporto tra uomo e natura, e pensiamo che l'umanità dovrebbe porsi dei limiti. Ovviamente, questo non vuol dire che in futuro non faremo più niente. Una volta guariti torneremo al lavoro anche per ricambiare tutto l'impegno che medici e infermieri ci hanno messo per salvarci. Un'altra cosa che faremo, nei limiti delle nostre possibilità, sarà fare beneficenza per aiutare chi ne ha più bisogno e ripagare con azioni concrete la società».

Avete ringraziato uno a uno i medici che vi hanno assistito, pensate di tornare in Italia quando sarà possibile?
«Siamo profondamente grati a ogni medico e ogni infermiere che ha contribuito a salvarci: sono stati loro a donarci una seconda vita.
Alla piccola cerimonia di commiato al San Filippo Neri, abbiamo fatto il rito tradizionale dei 3 inchini per mostrare tutta la nostra gratitudine al personale medico-sanitario presente. Visto che quando siamo stati dimessi dallo Spallanzani è stato fatto tutto di corsa e non abbiamo avuto tempo di salutare, abbiamo detto al responsabile che ci ha accompagnato che, una volta tornati in Cina, avremmo trovato il modo di rappresentare la nostra gratitudine e ammirazione. Durante la degenza, abbiamo stretto profonde amicizie con il personale italiano. Ricordiamo che il 20 aprile, quando siamo stati dimessi, pioveva e il fisioterapista ci ha detto che il tempo rispecchiava a pieno la sua tristezza. Anche noi ci sentivamo così, volevamo tornare a casa, ma dovendo salutare tutti loro sentivamo già un gran senso di nostalgia. Quando le condizioni lo permetteranno, sicuramente considereremo l'idea di tornare in Italia. Abbiamo invitato i medici dei due ospedali che ci hanno curato e il personale sanitario a venire in Cina, li abbiamo invitati a venire a vedere Pechino e anche Wuhan. Al San Filippo Neri c'erano due amici che si stavano preparando per andare in Cina nella seconda metà dell'anno: se potranno farlo, noi saremo a Wuhan ad accoglierli».

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