Coronavirus, l'infermiera: «I giudici mi hanno tolto i figli perché potrei infettarli»

Coronavirus, l'infermiera: «I giudici mi hanno tolto i figli perché potrei infettarli»
Coronavirus, l'infermiera: «I giudici mi hanno tolto i figli perché potrei infettarli»
di Alessia Marani
Mercoledì 15 Aprile 2020, 07:18 - Ultimo agg. 10:29
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Le tolgono i figli perché è una infermiera e in quanto tale potrebbe infettarli. L'incredibile storia non arriva nemmeno dal fronte lombardo della lotta al coronavirus, ma da Anzio sul litorale romano. Donatella S., 39 anni, è una infermiera strumentista di sala operatoria all'ospedale della cittadina dello Sbarco. Una struttura sanitaria No Covid, dove per chi manifesta i sintomi influenzali in pronto soccorso è previsto un pretriage in tenda con trasferimento immediato al centro Covid dei Castelli romani in caso di positività al virus. 



Eppure l'8 aprile scorso il tribunale di Velletri ha accolto, e dato esecuzione con urgenza, il ricorso presentato dall'ex marito basato su titoli ed estratti di giornali relativi a un allarme generico circa medici e infermieri contagiati in Italia, alcuni morti sul lavoro, nel mese di marzo. Tanto è bastato al giudice per disporre «l'immediato trasferimento del collocamento dei figli presso l'abitazione paterna (...) per l'intero periodo di concomitanza dello stato di emergenza per il gravissimo e pericolosissimo fenomeno epidemiologico in corso», come si legge nel dispositivo. «Un atto di discriminazione e sopraffazione che sto subendo solo perché ho un'unica colpa: essere un'infermiera», dice Donatella che con una accorata lettera-denuncia indirizzata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e recapitata al NurSind, il Sindacato delle professioni infermieristiche, intende mettere in guardia tutti i colleghi. «La vicenda - afferma il segretario provinciale NurSind Roma, Stefano Barone - costituisce un precedente gravissimo e inaccettabile, perché vorrebbe dire che in un momento simile, qualsiasi operatore sanitario italiano, addirittura neanche impegnato in prima linea, potrebbe vedersi privato del ruolo educativo e dell'affetto dei figli, se non a dovere scegliere tra loro e il lavoro. Noi infermieri non ci tiriamo indietro davanti all'emergenza, ma oltre al danno questa è la beffa».

 
 
 
Donatella e il marito si erano separati giudizialmente due anni fa. «Da allora ho lasciato la casa coniugale con i due gemelli che oggi hanno dieci anni, un maschietto e una femminuccia, che il mio ex continua a vedere nei week-end stabiliti. Ma domenica 5 aprile non me li ha riportati e poco dopo è arrivata la doccia gelata del provvedimento del giudice», racconta. Nella lettera di due pagine, scritta a mano, spiega che «in un momento di emergenza come quello che stiamo vivendo tutti noi sanitari, dove si è sottolineato l'indispensabile apporto fornito dagli infermieri, io mi sento punita per avere continuato a svolgere la mia professione con impegno e dedizione, con l'allontanamento dei miei figli, fino a fine emergenza Covid, quindi ancora con una data da definirsi». Il suo legale, l'avvocato Antonella Succi parla di un provvedimento «scioccante». All'istanza di revoca del provvedimento allega le controdeduzioni di Donatella. Il direttore sanitario ha rilasciato all'infermiera un documento in cui certifica che nell'ambito della Asl 6, l'ospedale di Anzio «non ospita pazienti affetti da Covid», che «tutto il personale è dotato di dispositivi di protezione individuali», che «l'unica struttura che può effettuare operazioni chirurgiche su pazienti Covid è l'ospedale dei Castelli», che «l'attività chirurgica ad Anzio è limitata» e che «nessun dipendente dell'ospedale a oggi è risultato positivo al Sars Cov 2 dall'inizio dell'epidemia». L'istanza, finora, ha ottenuto di anticipare l'udienza di comparizione dal 14 maggio al 28 aprile.
 

«Questa decisione mi sconvolge - afferma ancora Donatella - perché passa il principio che l'operatore sanitario non può avere una famiglia.
La nostra professione ci espone sempre a un rischio biologico, non solo in questo particolare periodo in cui forse è più facile evidenziarlo». Donatella è arrabbiata e indignata come donna «orgogliosa della mia professione», affatto convinta «di dovere rinunciare al ruolo di mamma che rappresenta il mio orgoglio nella vita personale, perché siamo operatori sanitari ma anche madri e padri». Per ora, i gemellini può vederli e sentirli sono per telefono o in videochiamata.

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