Covid, linea dura del governo: se la pandemia si aggrava via ai lockdown territoriali

Covid, linea dura del governo: se la pandemia si aggrava via ai lockdown territoriali
Covid, linea dura del governo: se la pandemia si aggrava via ai lockdown territoriali
di Mario Ajello
Martedì 18 Agosto 2020, 06:57 - Ultimo agg. 12:28
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Non un lockdown generalizzato: questo è escluso, a meno che ricominci la catastrofe più tremenda. Ma se continua così il tasso di crescita dei contagi, il governo non esclude affatto - anzi sta già pensando come e dove, pur non volendo creare allarmismi - chiusure territoriali, per aree da nuova zona rossa o se necessario per intere regioni, anche contro il pare dei governatori. Perché «non è il momento del lassismo» ragionano alcuni ministri e Roberto Speranza è il primo tra questi. E s'impone, a loro avviso, un rigore se non da tempi di guerra - tanto per fare un paragone storico: l'11 giugno del 1940, il giorno dopo l'annuncio dell'entrare in guerra dell'Italia, vennero chiuse le discoteche, o meglio le sale da ballo - almeno da tempi in cui serve alzare altre trincee contro il Covid, per non disperdere i successi ottenuti e per fronteggiare la nuova offensiva.

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Da quando è stato istituito il monitoraggio settimanale, regione per regione, area per area, sui focolai e sui contagi - così ragionano a Palazzo Chigi - di fatto la possibilità di chiusure a macchia di leopardo è diventata una soluzione di pronto impiego, se ce ne fosse bisogno. E anche per evitare tutti i pasticci e i bisticci, nel rapporto tra governo centrale e regioni, stavolta al contrario della fase tremenda di marzo lo Stato è deciso a far valere la sua preminenza e a non farsi troppo condizionare dal protagonismo e dagli interessi, anche elettorali, dei presidenti di regione. E dunque: se una regione diventa a rischio alto, possono scattare le misure restrittive, parziali o anche totali.

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Se la ripresa del Covid non viene stroncata con tutti i mezzi, c'è il pericolo della non riapertura delle scuole («Ora dobbiamo pensare ai ragazzi», ripete il ministro della Sanità, Speranza), oltre che la minaccia generalizzata alla salute di tutti. Non si possono fare sconti agli enti locali in questo passaggio così delicato, e su questa linea non ci sono discrepanze né all'interno del governo né tra l'esecutivo e il comitato tecnico-scientifico. Il governo sta drammatizzando il ritorno del virus, per darsi più forza? Il sospetto naturalmente viene rigettato dagli interessati, mentre è un fatto che di fronte all'emergenza di ritorno la questione Mes sì e Mes no sta aiutando il Pd che milita nel primo schieramento, e infatti Zingaretti annuncia «Basta indugi, e prendiamo i soldi del fondo salva-Stati» - e sta anche dando più forza a quei ministri grillini che pur non potendolo dire, ma ora forse potranno cominciare a ipotizzare con meno paura del popolo stellato ammesso che esista ancora, sono piuttosto favorevoli a liberarsi dalla demagogia identitaria e ad aprire le porte ai miliardi europei per la sanità.

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Di questo passo - secondo i calcoli del governo - i nuovi contagi potrebbero arrivare a 1000 al giorno entro fine agosto e superare i 1500 a fine settembre. «La situazione non è ancora fuori controllo - ragionano nel comitato tecnico-scientifico in sintonia con Palazzo Chigi a cui spettano le decisioni operative - ma dobbiamo essere consapevoli che questo può essere l'innesco della seconda ondata».
 


Il livello di allarme è notevole insomma. E chiudere per ora le discoteche, con quello che potrebbe seguire per settori, per zone e magari per regioni, è una scelta impopolare da parte del governo. Ma considerata doverosa. Secondo il principio della salute al primo posto. Anche a costo di sacrificare per l'interesse generale gli interessi particolari dei governatori in cerca di rielezione nel voto del 20 e 21 settembre. «Facciamo sul serio perché la situazione è seria», è la linea del premier Conte. La sensazione, anche a livello di governo, è che forse si sia sbagliato il 15 giugno a riaprire per esempio le discoteche.

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Ma l'errore nell'errore è stato riaprirle tramite un'ipocrisia che deriva come al solito dalla confusione tra poteri centrali e poteri locali, cioè la solita pasticciata questione dell'autonomismo all'italiana, in cui ogni presidente di regione si sente presidente di uno staterello come se fossimo negli Usa. Insomma le discoteche ora richiuse sono state riaperte due mesi fa, secondo il principio che le regioni potevano derogare al Dpcm di Conte. Questa elasticità o concessione di sovranità, se dovessero esserci nuovi lockdown, il governo stavolta è intenzionato fortemente ad evitarla.
 

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