Corso Francia, Pietro Genovese si difende davanti al Gip: «Non andavo a più di 50 all'ora»

Corso Francia, Pietro Genovese si difende davanti al Gip: «Non andavo a più di 50 all'ora»
Corso Francia, Pietro Genovese si difende davanti al Gip: «Non andavo a più di 50 all'ora»
di Valentina Errante
Venerdì 3 Gennaio 2020, 07:48 - Ultimo agg. 14:23
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Alla fine ce l’ha fatta. Pietro Genovese ha risposto alle domande del gip Bernadette Nicostra. Ha ricostruito la sera del 21 dicembre, quando alla guida del suo suv in corso Francia ha travolto e ucciso Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli. Piange e non si dà pace. Interrompe più volte l’interrogatorio: «Sono disperato». Al suo fianco la famiglia, oltre all’avvocato Gianluca Tognozzi, ha voluto anche Franco Coppi, decano del foro, difensore, di Giulio Andreotti insieme a Giulia Bongiorno, il legale che oggi sta dall’altra parte e difende i genitori di Gaia.

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Pietro Genovese
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La versione è sempre la stessa: «Sono ripartito con il verde, al semaforo che si trova all’altezza dello svincolo del Foro Italico. Questo lo ricordo. Ma le ragazze non le ho proprio viste, ho sentito una botta sul cofano, dopo l’impatto non riuscivo a fermarmi. Non so esattamente a quanto andassi, ma non credo di avere superato i 50 chilometri orari». Ha l’aria provata, questo ragazzino di appena vent’anni, indagato per omicidio stradale, aggravato. E non c’è soltanto la responsabilità penale, ha visto la morte, ne è responsabile. Ma spiega che non andava così veloce, anche se non sa dire a quanto, perché era appena ripartito quando era scattato il verde. Una circostanza, sulla quale le perizie, della procura e delle parti, potranno dire di più. 
 



LA SERATA
Genovese ha spiegato che quando è scattato il verde è partito insieme alle altre auto: «Ero l’ultimo a sinistra, ma non andavo così veloce, il semaforo era poco distante, la mia visuale, però, era limitata dall’altra auto alla mia destra. Non mi sono proprio accorto di loro. Pioveva, ho avvertito un tonfo sordo, ho visto qualcosa sul cofano». Dopo l’impatto, l’auto ha proseguito per circa 250 metri, «Non riuscivo a fermarmi - ha aggiunto il ragazzo - La macchina era fuori controllo». Ma l’indagato ha anche dovuto chiarire un altro aspetto, che non è di poco conto e pesa sulla sua posizione: quanto avesse bevuto. Il test ha rivelato che aveva un tasso alcolemico di 1.4 «Quella sera - ha raccontato - ero andato a una festa a casa di un amico, tornato a Roma dopo il progetto Erasmus. Avevo consumato due o tre bicchieri di vino, alla cena erano presenti anche i genitori del mio amico, non era una festa soltanto tra ragazzi». Il gip gli ha chiesto dove fosse diretto: la serata doveva proseguire al Treebar, un locale in via Flaminia. «Avrebbe bevuto ancora?», ha domandato Bernadette Nicotra, Genovese nega, spiega che si sarebbe fermato appena un quarto d’ora per chiacchierare. L’indomani, domenica, tra l’altro, era in programma un evento dell’Università, dove studia comunicazione, lo Ied. 
 
 


Per il ragazzo si tratta del secondo confronto con gli inquirenti. A poche ore dai fatti, si era limitato a dire di non ricordare nulla alla polizia municipale. Ha atteso i suoi avvocati di fiducia. Ma a pesare c’è anche l’aspetto della droga, il ragazzo è risultato positivo sia ai cannabinoidi che alla cocaina. Una circostanza che il gip non gli ha contestato, perché dagli esami non è possibile stabilire quando fossero state assunte le droghe. Un elemento valutato diversamente dal procuratore aggiunto Nunzia D’Elia e dal pm Roberto Felici che a Genovese hanno accusato l’indagato anche di guida sotto l’effetto di droghe. Il consumo, però, almeno secondo le parole del ragazzo, risaliva ad alcuni giorni prima dell’incidente. Un punto sul quale non potrà mai essere smentito. 

UNA TRAGEDIA
Al momento gli avvocati del giovane indagato non hanno presentato alcuna istanza per l’attenuazione delle misure cautelari. Probabilmente non ricorreranno neppure al Riesame. Il commento è unanime dopo l’interrogatorio: «Questa è una tragedia per tutte e tre le famiglie coinvolte - hanno detto Franco Coppi e Gianluca Tognozzi lasciando la cittadella giudiziaria - Genovese non è il killer che è stato descritto, merita rispetto e comprensione come le famiglie di queste due ragazze». 

Oggi intanto il pm Felici sentirà come testimoni Davide e Tommaso, i due amici che la sera del 21 dicembre viaggiavano sulla Renault Koleos di Genovese.
Un nodo fondamentale per stabilire il grado di responsabilità, è stabilire a quale velocità viaggiasse l’auto. Tutti i testimoni, che hanno assistito all’impatto, hanno riferito che la Renault percorreva corso Francia a velocità «sostenuta», superiore ai 50 km orari. Per chi indaga «una velocità prudenziale e una condizione di sobrietà in rapporto alla prossimità di un attraversamento semaforico avrebbe, con ogni probabilità, permesso all’indagato di meglio controllare il veicolo mettendo in atto manovre di emergenza per arrestarlo davanti a ostacoli prevedibili». 

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