Virus mortali, 59 laboratori come Wuhan: due sono in Italia, il problema degli standard di sicurezza

Virus mortali, 59 laboratori come Wuhan: due sono in Italia, il problema degli standard di sicurezza
di Erminia Voccia
Mercoledì 9 Giugno 2021, 23:49 - Ultimo agg. 10 Giugno, 12:19
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Il respiro a un tasso di umidità al 5%, nel deserto del Sahara sarebbe più alto, perché non si formino batteri. Un paio d’ore con addosso quella divisa protettiva, quasi una tuta spaziale, bastano a provocare disidratazione. Il fastidio, invece, è la norma. Ma sono i guanti, il vero problema: tre paia, molto aderenti, stretti a dire il vero, perché la mano riesca a maneggiare con estrema facilità le fiale, perché si possa avvitarle e svitarle senza causare incidenti. Del resto, un solo sbaglio può essere fatale. E dopo un po’ è naturale avvertire dolore alle mani. 
È l’abbigliamento da lavoro di Andreas Kurth, capo del team di ricerca dell’Istituto Robert Koch di Berlino, classificato come BSL-4, livello 4 di biosicurezza, il livello più alto di biocontenimento. I laboratori come quello diretto da Kurth, e come l’Istituto di Virologia di Wuhan, comunemente sono costruiti per poter studiare e trattare con sicurezza i virus e i batteri più pericolosi, tali da causare malattie mortali per cui non esistono ancora farmaci o vaccini in grado di curarle.

«Dove vivono i mostri» è il titolo di un articolo del South China Morning Post dove si legge dell’esperienza del dottor Andreas Kurth. Una missione, la sua. L’Istituto Robert Koch si trova in un distretto industriale di Berlino. In 330 metri quadrati lavorano 15 persone, che comunicano grazie alle cuffie delle tute protettive. «Il tempo per iniziare a lavorare dipende da quanti piercing ha un ricercatore o una ricercatrice», scherza Kurth. Non sono ammesse neanche le lenti a contatto. Ci si deve spogliare del tutto prima di indossare le tute. Finito il turno, la doccia dura sei minuti, dopodiché ci si sfila l’indumento protettivo. Poi, un’altra doccia. Le tute vengono decontaminate e riutilizzate. L’aria del laboratorio viene filtrata e completamente cambiata in massimo 10 o 15 minuti. C’è un sistema di filtraggio dell’acqua e uno per lo smaltimento dei rifiuti solidi, compresi i computer in disuso. «Qualsiasi rifiuto che lascia quelle strutture è trattato con sostanze chimiche o ad alte temperature perché ci si assicuri che niente possa sopravvivere», racconta Gregory Koblentz, esperto di biodifesa della George Mason University. Con Filippa Lentzos del King’s College di Londra, Koblentz è autore di uno studio pubblicato a fine maggio, una mappatura dei laboratori BSL4. 

Nel mondo, in base allo studio, ce ne sono 59 di questo tipo, già operativi o in costruzione, distribuiti in 23 Paesi. La maggiore concentrazione, 25 laboratori, si trova in Europa, ovvero in Bielorussia, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Italia (al Sacco di Milano e allo Spallanzani di Roma), Svezia, Svizzera, Regno Unito e Federazione Russa. Nel nostro Paese laboratori di questo tipo si trovano all’Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani di Roma e all’Ospedale Sacco di Milano. L’Asia e il Nord America hanno quasi lo stesso numero di laboratori BSL4. Nel continente asiatico ce ne sono 13, tra Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Arabia Saudita, Singapore e Taiwan. Gli Stati Uniti e il Canada ne contano 14. L’Australia ne ha 4. Tre quelli nel continente africano, tra Costa D’Avorio, Gabon e Sudafrica. Il dato forse più allarmante messo in evidenza dal rapporto: almeno 46 dei 59 laboratori di tutto il mondo sono stati costruiti in centri urbani. Gli incidenti, qualora si verificassero, e in passato ne sono accaduti, avrebbero conseguenze molto più gravi in termini di rischi sulla popolazione. Anche perché soltanto 3 dei 23 Paesi considerati hanno adottato politiche nazionali di controllo e supervisione delle ricerche cosiddette dual-use, condotte a scopi civili che possono essere convertite a uso militare. 

Dei 42 laboratori di cui si conosce la data di fondazione, prosegue il rapporto, quasi la metà è stata costruita negli ultimi dieci anni. Koblentz e Lentzos nei loro studi hanno riscontrato che negli ultimi decenni c’è stato un aumento esponenziale delle attività e dei programmi di biodifesa. Il numero delle strutture è cresciuto enormemente in tutto il mondo. Lentzos, scienziata esperta di sicurezza internazionale, spiega al Financial Times la portata del problema: «Più si lavora in queste strutture, maggiore è rischio di fuga di qualche sostanza pericolosa». L’altro problema è il numero dei ricercatori, che deve restare basso per lo stesso motivo. «Più grandi sono le strutture, dunque più è elevato è il numero di persone che hanno accesso ad agenti pericolosi, maggiore è il rischio», così Richard Ebright, docente alla Rutgers University, ancora al Financial Times.

Nel 2001, quando negli Stati Uniti si verificano gli attacchi con l’antrace a diversi media e due membri del Congresso, bastò una sola persona ad ucciderne 5. Fu probabilmente un ricercatore mentalmente disturbato a sottrarre la sostanza nociva dal laboratorio della base di Fort Detrick. 

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Urgente è la necessità di rafforzare gli standard internazionali di sicurezza, specialmente in alcuni Paesi tali standard sono troppo deboli. Secondo lo studio di Koblentz e Lentzos, meno di un quarto dei Paesi con laboratori BSL-4 ha livelli alti di sicurezza, per esempio Stati Uniti e Regno Unito. Circa un terzo, compresa la Cina, ha livelli medi, il 41% ha livelli bassi, come il Sudafrica. Una delle riforme auspicate da Lentzos è la creazione di un organismo internazionale che regoli tali strutture, ovunque si trovino. Anthony Fauci, l’epidemiologo a capo della task-force presidenziale Usa per la malattia Covid-19, qualche giorno fa ha chiesto alla Cina di fornire le cartelle cliniche delle persone dell’Istituto di Virologia di Wuhan che a novembre 2019 si sarebbero ammalate mostrando sintomi simili a quelli causati dal nuovo coronavirus. Tuttavia, se anche non si riuscisse a provare la teoria della fuga accidentale del SARS-CoV-2 dal laboratorio di Wuhan, potrebbe accadere in futuro: un virus mortale potrebbe fuoriuscire da qualche laboratorio perché il mondo non ha ancora trovato sistemi efficaci per impedirlo. 
 

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