Crescita, perché l'alibi dell'incertezza
politica non può bastare

di Enrico Del Colle
Mercoledì 14 Agosto 2019, 08:30
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L’errore più grave che si possa commettere, quando ci si trova in estrema difficoltà, è quello di crearsi una sorta di alibi su cui “scaricare” le proprie incertezze e fragilità comportamentali. E’ ciò che rischia di accadere a questo meraviglioso, ma complicato, Paese ora che il Governo è arrivato “bruscamente” al capolinea e i principali indicatori economici e finanziari ricominciano ad “agitarsi” (in questi giorni lo spread è salito intorno ai 240 punti base e Piazza Affari traballa pericolosamente, al di là dell’ormai ben nota variazione nulla del Pil). 

Qual è l’alibi? E’ quello di ritenere l’incertezza politica la ragione principale del disagio economico che si inizia nuovamente a intravvedere (confermato anche dal recente giudizio dell’agenzia Fitch circa la situazione e il futuro economico del Paese, ovvero stabile ma con prospettive negative e avvertendoci, altresì, dei rischi di un eventuale allontanamento dalle regole di Bilancio Ue) e che sia sufficiente tornare ad una forma di “quiete” politica, più o meno salda, per risolvere d’incanto tutte le tensioni economiche. Spieghiamoci meglio con un esempio: siamo in presenza di due edifici, il primo costruito con tutte le “accortezze” antisismiche e il secondo senza tenerne pienamente conto; ebbene, davanti ad un terremoto, in questo caso politico, il primo edificio rimane pressoché intatto e il secondo presenta “crepe” difficili da sanare e la domanda è: la colpa del danno maggiore subìto dal secondo edificio è da attribuirsi principalmente al terremoto oppure anche (e forse soprattutto) ad alcuni difetti nella struttura dell’edificio stesso?

Tornando ai fatti di questi giorni, può, pertanto, apparire azzardato e fuorviante ritenere come causa prevalente del riaffacciarsi di segnali negativi dell’economia, l’incertezza politica del momento, che al più può essere considerata come una delle possibili “scintille scatenanti”, mentre le debolezze (strutturali) dell’architettura economica del Paese (l’edificio) vanno sicuramente inserite tra le cause principali. A supporto di tutto ciò, è sufficiente segnalare quello che accade in altri Paesi: ad esempio, da un confronto con la situazione della Spagna e della Gran Bretagna si registra che gli iberici, pur non riuscendo a formare un governo stabile da anni e nonostante questa incertezza politica, hanno indicatori economico-sociali positivi, quali uno spread inferiore a 100 punti, un Pil in decisa crescita (più del 2% annuo) e un tasso di occupazione del 63,2% (59,2% in Italia) che va rapidamente allineandosi alla media dell’Eurozona (67,8%, fonte Eurostat), oltre ad un rapporto debito/Pil che, pur crescendo, si attesta su valori inferiori al 100% (132% in Italia); dal canto suo, la Gran Bretagna, malgrado una, a dir poco, pesante incertezza politica come la possibile e imminente Brexit, mostra anch’essa indicatori economici tutto sommato stabili (la recente flessione del Pil dello 0,2%, è attribuito, secondo gli analisti, ad un eccessivo aumento delle scorte in vista di un possibile blocco di provviste dovuto ad una ventilata uscita anticipata dalla Ue rispetto al previsto fine ottobre prossimo). 

Quindi, non esiste una teoria unificatrice in grado di chiarire il rapporto tra Politica ed Economia e, pertanto, guardando in casa nostra, prima mettiamo in “sicurezza economica” il Paese (o ci avviamo a farlo) e più siamo in grado di sopportare gli “scossoni” politici che in Italia sono sempre dietro l’angolo. Come e cosa fare? Da tempo sappiamo che le risorse da destinare agli eventuali provvedimenti da inserire nella prossima manovra di bilancio – vero nodo da sciogliere alla luce degli impegni assunti nel luglio scorso con l’Ue - sono scarse e, conseguentemente, occorrerà individuare gli interventi più efficaci da eseguire, sempre con lo scopo primario di riprendere il sentiero della crescita economica (cioè del Pil) e di ridurre sensibilmente l’ormai insostenibile debito pubblico; siamo, quindi, di fronte a scelte complesse, di ardua individuazione sotto il profilo della priorità, decisive per il nostro futuro, e sulle quali ci si interroga per cercare di evitare passi falsi dal prezzo pesantissimo: primo, come sterilizzare l’aumento dell’Iva (23,1 miliardi di Euro)? Oppure, come sostenuto da alcuni analisti, si può decidere di lasciarla aumentare solo per pochi beni (ad esempio per quelli che “gravano” meno sulle famiglie più bisognose) od anche spostare di alcuni mesi (tre?) l’aumento mediante un iniziale assestamento di bilancio? Secondo: È prioritario Introdurre la flat tax per stimolare i consumi in un Paese dove, però, la propensione al consumo (consumi delle famiglie diviso il reddito disponibile) è più elevata della media dell’Eurozona (90,4% contro il 88,2%, fonte Eurostat)? Terzo: E’ utile dare precedenza ad una congrua riduzione del cuneo fiscale e contributivo (in Italia è pari al 47,9%, mentre in Francia è al 47,6%, in Germania al 49,5%, in Gran Bretagna al 30,9% e con una media Ocse al 36,1%), per agevolare i lavoratori e consentire alle imprese maggiori possibilità di investire in innovazione e di creare posti di lavoro? Inoltre, ci sarebbe la formazione dei giovani da tenere presente tra le priorità, così come non andrebbe sottovalutata la bassa natalità presente nel Paese, unitamente al problematico processo di invecchiamento della popolazione. E poi, considerato che già sono stati spesi circa 10 miliardi di Euro per “quota 100” e il Reddito di Cittadinanza, con risultati al di sotto delle aspettative (anche dal punto di vista del ricambio generazionale), vale la pena “insistere” oppure le risorse possono essere impiegate in altro modo? Insomma, ci troviamo a vivere un momento di forte instabilità interna (e internazionale) e le scelte (non facili) che saranno fatte segneranno molto probabilmente il nostro cammino dei prossimi anni. 

In questa cornice di profonda incertezza, le decisioni da assumere nel campo economico sono molteplici, a volte “nebbiose”, ma tutte dovranno avere come obiettivo “delibere” razionali (e non emotive o elettorali), per migliorare il Paese. Nonostante tutti questi dubbi siamo persuasi che possiamo farcela e in questa convinzione ci aiuta il pensiero di John Locke (filosofo inglese vissuto più di tre secoli fa), padre dell’empirismo moderno e della conoscenza probabile, il quale sosteneva che le decisioni importanti non si assumono mai alla chiara luce del sole, ma nel crepuscolo delle probabilità, che in altre parole significa come nella vita sia molto raro poter decidere scegliendo (facilmente) tra il bianco e il nero, ma dovendo invece distinguere tra le intermedie e difficilmente identificabili sfumature del grigio, che naturalmente non sono 50, ma molte, molte di più! 
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