Da «governatore» a «premier», la Crusca bacchetta la politica

di Mario Ajello
Mercoledì 15 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 08:18
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Brava Crusca. Ha messo il pennino in una stortura italiana, diventata più acuta nella fase dell’emergenza virus. Ovvero l’ipertrofia del regionalismo, per cui 20 presidenti regionali si sentono piccoli capi di Stato e considerano le loro contrade delle nazioncine con la pretesa di autonomia, se non addirittura d’indipendenza. Ma per fortuna, ecco scendere in campo gli accademici della lingua, che dal 1583 cercano di preservare la purezza del nostro idioma, e avvertono: «Le Regioni italiane non hanno governatori ma presidenti». Ben detto! E chissà se dopo questo intervento, che è linguistico ma la lingua è sostanza, i vari Fontana e Emiliano e tutti gli altri smetteranno di atteggiarsi a governatori come in Texas o in Alabama. Se poi la Crusca chiederà di chiamare in italiano, Giornate di voto e non Election Day, quelle che si svolgeranno il 20 e 21 settembre per scegliere chi guiderà alcune parti della Penisola, allora non sarà contento soltanto Dante ma anche tutti noi quaggiù.

Si sono rivolti all’istituzione fiorentina e italianissima alcuni cittadini, a proposito dell’uso di «governatore», e la risposta via web è questa: «Come il premier inglese non è previsto, né nel nome né nei poteri e ruoli, dalla nostra Costituzione, così i governatori non hanno posto nel nostro ordinamento». Firmato Vittorio Coletti, accademico e docente di storia della lingua italiana dell’università di Genova. 

In Italia - secondo la Crusca, che ancora sta discutendo per esempio se si dice «il» Covid o «la» Covid, ma forse vale l’una e l’altra perché quel virus è un morbo ma anche una malattia - l’unico a potersi fregiare di questo titolo è il governatore della Banca d’Italia, come ha ricordato anche Antonio Patuelli, presidente di Abi. Il fatto è che i linguisti sembrano considerare fuori dalla realtà l’idioma della politica e ascrivono la consuetudine di certi vocaboli all’«americomania» che impazza. Che poi è la stessa - e la Crusca non ci sta: «Uno scarso amore per la nostra lingua rivela una scarsa attenzione ai temi dell’identità nazionale», dice il presidente dell’istituzione fiorentina, Marazzini - che ci fa dire smart working quando potremmo dire lavoro da fuori o da casa, o situation e non situazione, o lunch quando c’è il pranzo (che è più lungo solo di una lettera), o infinite altre espressioni anglosassoni sostitutive di parole italiane che esistono eccome e guai a dimenticarcele. La Crusca è anche quella che ha deciso di non accettare obbrobri del tipo: «Che cosa pensi del mio outfit?», oppure «Manda in print!» e via così con altri speach (ma non è meglio chiamarli discorsi?).
Intanto il mese scorso un cittadino si è rivolto alla Crusca - che nel 2019 già è intervenuta insieme al Consiglio di Stato perché le decisioni dei giudici e dei tribunali diventino «comprensibili a tutti con un linguaggio appropriato» - per chiedere: è corretto che Conte chiami Stati Generali i suoi incontri a Villa Pamphili? Risposta dell’Accademia: «Con l’antico istituto politico francese questo evento mantiene legami molto tenui». Ossia il premier, anche se non si dice premier, avrebbe dovuto trovare un’altra formula. 

Il problema, come diceva Platone, è che «le parole false non sono male in se stesse. Ma infettano l’anima con il male». E possono infettare il discorso pubblico e le regole istituzionali. Il che non sfugge all’accademico Coletti. Lui vede dietro l’uso e l’abuso del termine governatore «l’ambizione dei capi delle giunte regionali» di esondare dai loro poteri, «specie dopo che il sistema elettorale li ha fortemente messi in rilievo». E insomma la Crusca - che non somiglia a un sinedrio di parrucconi, basti pensare che ha sdoganato il verbo whatsappare - è nettissima: «Con la parola governatore si avalla un (modesto) abuso istituzionale e si favorisce un evidente progetto politico. Chi non approva l’uno e non condivide l’altro farebbe bene a starci attento ad adottare questa espressione». Su cui ha lievitato l’Ego di troppi politici locali, e povera Italia. 
 
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