Da «tonto» a «cianciare»,
le mie parole da salvare

di Giuseppe Montesano
Martedì 15 Ottobre 2019, 07:54
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Il gioco a cui ci invitano quelli che fabbricano il dizionario Zanichelli, è fantastico: si tratta di mandargli le parole che vorremmo non morissero, non per puro affetto, ma perché esprimono perfettamente qualcosa. Ma io ho scritto “fantastico” per definire e elogiare il gioco: sono stato preciso? Direi non tanto, perché a leggere lo Zingarelli trovo che fantastico vuol dire cervellotico, bizzarro, fuori dalla norma, prodotto di pura fantasia eccetera. 

Eppure oggi fantastico significa qualcosa come super-bello o super-buono o super e basta, non qualcosa di cervellotico: «Ho mangiato una pizza fan-ta-sti-ca» diciamo, e vogliamo dire fuori dalla normalità banale, ma non certo frutto di fantasticheria. Insomma, siamo onestamente: non sono stato preciso, perché non ci ho riflettuto abbastanza, e ho adoperato una parola che tutti afferrassero a volo. E perdere una parola precisa per una parola imprecisa è una piccola catastrofe. Io per esempio non potrei rinunciare a una parola ormai poco usata come «tonto», perché altrimenti non saprei come definire molti politici: tonto non è sciocco o scemo o idiota, che pure a volte servirebbero per definire alcune guide del popolo, ma tonto vuol dire privo di senno (altra parola caduta quasi nell’oblio), ovvero privo di quella mescolanza tra saggezza e intelligenza che tanto servirebbe a un politico.

E mi piacerebbe continuare a usare ciarlare e cianciare, che non sono la stessa cosa di chiacchierare, perché sono onomatopeiche come i gulp e i gasp dei fumetti ma hanno un uso preciso: in particolare cianciare, che può tra l’altro essere collegato a ciancioso o cianciosa, altra parola defunta ma non sostituibile, che indica chi fa moine (altra parola cadaverica) e cinguetta invece di parlare, una parola che è stata adottata dalla lingua napoletana in un duplice significato, esattamente come in italiano: perché «ciancioso» vuole anche dire in second’ordine leggiadro o vezzoso, che sono altre parole defunte o quasi, sostituite da carino o carinissimo. E a proposito di lingua napoletana, mi è capitato di dire scherzosamente a un amico napoletanissimo che lui «faceva il zezo», e di vedermi fissare con aria intontita (parola defunta?), e mi sono depresso: che stesse morendo anche l’espressione fare ’o zezo? Ma fare ’o zezo definisce un tipo umano intraducibile, qualcosa tra il dongiovanni, il leggerone e il fastidiosetto, con le zeta che fanno ironicamente il verso allo zzzz dello zanzarone, un’espressione legata a un tipo umano solo sfiorato dalla definizione di Da Ponte e Mozart di «farfallone amoroso», anche se là manca lo zzzz, essenziale al senso.

E «grazia»? Lo dico senza se e senza ma: io non posso fare a meno di questa parola, e non nel senso teologico, ma come modo per indicare l’irresistibile bellezza di una donna non vistosa ma che in tutto il suo modo di fare e di muoversi e fin di parlare e pensare dimostra grazia, cioè qualcosa davanti a cui bisogna solo inginocchiarsi con gratitudine, qualcosa che la parola bellezza sfiora soltanto, e che dieci altre parole non potrebbero esprimere. E a questo punto ho un sussulto, e mi preoccupo. E se le parole sparissero perché sparisce la cosa a cui erano riferite? E quindi nessuno può più dire che una persona ha grazia perché non c’è più quella cosa straordinaria ma non vistosa che è la grazia?

Il legame tra le parole e le «cose»  corrispondenti (passioni, modi di essere, di pensare, di vivere) si muove dalle parole alle cose e dalle cose alle parole, e le nuove scienze del cervello ci spiegano (invano?) che un vocabolario ristretto e semplificato è la causa e il sintomo di una connessione sinaptica che si disconnette: e se salta una connessione sinaptica vuol dire che diventi più tonto, e meno parole precise e adatte possiedi meno pensi con esattezza, cioè tendi a diventare più tonto, e più pensi da tonto e più lo diventi, in una discesa senza fine verso la balbuzie emotiva e intellettuale. Se mai quelli che cianciano di modernità a tutti i costi leggessero i modernissimi neurolinguisti (e altro che non sia un display), imparerebbero che l’esattezza del linguaggio è connessa all’esattezza del pensiero e delle emozioni, e che una vera modernità dovrebbe preoccuparsi di questo, se avesse a cuore un futuro che non sia pieno solo di esseri semi-umani depensanti e pazzoidi. Per i cianciatori festosi e suicidi, autodefinitisi senza alcun diritto moderni, queste preoccupazioni sono fesserie? Per noi, che ancora vorremmo pensare e vivere, le loro sono bubbole. Una parola defunta, ma esatta, perché le bubbole sono cose di scarsa importanza e menzogne… 
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