De Magistris-Salvini, spot e sfumature di populismo

di Mauro Calise
Domenica 19 Marzo 2017, 23:31 - Ultimo agg. 20 Marzo, 08:38
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Ma siamo proprio sicuri che – come qualcuno si è affrettato a scrivere – ci sia stata finalmente una svolta sul fronte della sfida populista? Non esageriamo. Non c’è da farsi troppe illusioni, sulla tenuta della diga olandese.
Sia perchè, numeri alla mano, è andata bene soprattutto rispetto alle paure della vigilia, e il cuneo del partito anti-europeo resta saldo e pericoloso nel futuro del prossimo governo di una nazione così importante negli equilibri dell’Unione. Sia perchè il termine stesso non appare una scelta – lessicale e simbolica – particolarmente felice. Come ha ricordato recentemente Marco Damilano, di fronte all’estrema volatilità e cambiamento degli orientamenti che nascono dal profondo della società, il richiamo alla diga suona male. Evoca una barriera, un muro che si erge a difesa di una cittadella protetta, con i suoi privilegi e immobilismi. E la incapacità di interpretare il nuovo – ahinoi, spesso molto simile al vecchio – che ribolle in un elettorato che appare sempre più disorientato. Ma comunque portatore dell’onda che la diga prova a fermare, depositario del movimento contro l’ordine costituito.

Gli entusiasmi sono prematuri anche per un’altra ragione, della quale abbiamo avuto in questi giorni – purtroppo – un’anteprima italiana. Diversamente dal governo, che deve fare – un po’ meglio o un po’ peggio – un mestiere molto preciso, ed estremamente complesso e impegnativo, i populismi sono – per definizione – irresponsabili e proteiformi. Possono cioè adattarsi alle cinquanta sfumature del malcontento popolare, interpretarne questa o quella pulsione, sollecitare qualunque paura o smisurata ambizione. Tanto, fino a prova contraria – cioè, fino alla prova del governo – avranno comunque ragione. Prendete lo show televisivo andato in onda – ahi, l’onda mediatica, anch’essa così potente – ieri su Raitre, con De Magistris e Salvini ospiti di Lucia Annunziata. Con un formato inusuale, in cui al posto del confronto diretto abbiamo avuto due megaspot paralleli. Certo, con il tentativo della conduttrice di fare un poco di contraddittorio. Ma con esiti ben diversi da quelli che avremmo avuto se i due fossero stati l’uno di fronte all’altro. Al posto di uno scambio di insulti, l’inedito canovaccio mediatico ha portato a due comizi di indubbia efficacia, con due risultati paradossali. 

Il primo è che, entrambi i leader, sono passati da imputati a accusatori. Il sindaco di Napoli ha avuto buon gioco a ribadire che lui con i violenti non c’entrava, visto che non esistono prove fattuali ma solo – come dire – deduttive. E, liquidata in cinque minuti l’accusa più insidiosa, ha passato gli altri venticinque a declamare la propria piattaforma sudista, autonomista e populista. Regalandoci anche una primizia, la – intelligente – difesa del populismo buono – dalla parte dei bisognosi - contro quello cattivo – anti-immigrati e filo-filospinato. Salvini, per parte sua, si è liberato altrettanto rapidamente degli improperi che – lui o i suoi seguaci – avrebbero rivolto contro il Sud, definendoli eccessi da tifosi. E, con abile retorica, è passato a sciorinare le inadempienze del sindaco antagonista come amministratore. Per poi passare a dettagliare il programma di ribellione ai diktat europei con cui sta provando a trasformare il suo partito nordista in un movimento nazionale. Invece di uno striminzito pareggio – come sarebbe accaduto in un rabbioso confronto diretto – entrambi hanno portato a casa un due a zero.

Anzi, forse, qualcosa di più. Il secondo paradosso, infatti, è che la partita non ha riguardato soltanto i fan delle opposte fazioni, ovviamente impegnati a tifare per il proprio campione di turno. Ma ha coinvolto anche molti spettatori inizialmente neutrali, e comunque molto più moderati. Che si sono ritrovati a schierarsi – non avendo molte alternative – col populista più vicino – o, se volete, meno distante. Immagino che una bella fetta di quei – tantissimi - napoletani che non ne possono più di De Magistris abbiano atteso con un sospiro di sollievo che finalmente Salvini introducesse qualche elemento di verità nell’idilliaca rappresentazione che il sindaco aveva fatto della sua – e loro – città. Di converso, molti tra coloro che non sopportano l’aggressività di Salvini – e della Lega – nei confronti degli immigrati e di nuovi importanti diritti di cittadinanza abbiano ascoltato – forse, per la prima volta – con un mix di curiosità e di interesse le sirene con cui il sindaco di Napoli ha esposto il suo manifesto di una rete di città ribelli. 

Complice anche il proporzionale, tornato ad essere il vero dominus della scena politica italiana, conviene rassegnarsi all’idea che forse – almeno nell’immediato – non ci sarà lo sfondamento al governo di un grande partito populista. Ma continueranno a fiorire uno, cento, mille populismi. Con cinquanta sfumature di proteste, che andranno ad ingrossare l’onda minacciosa dell’antipolitica. 




 
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