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Delitto dell'Olgiata, il figlio di Alberica Filo della Torre: «Il filippino che ha ucciso mia madre torna libero: meritava l'ergastolo»

di Giuseppe Scarpa
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 6 Giugno 2021, 08:03 - Ultimo agg. : 7 Giugno, 10:03
4 Minuti di Lettura

L'epilogo di una storia che ha segnato la vita di una famiglia, travolgendola, e anche la cronaca nazionale, è ormai ai titoli di coda. Manuel Winston Reyes sta per uscire di galera. È il maggiordomo filippino che uccise la contessa Alberica Filo della Torre, nella villa all'Olgiata, zona residenziale a nord di Roma, il 10 luglio 1991. Il the end, la scarcerazione, porta la data del 10 ottobre. «Ormai i protagonisti di questa terribile storia non ci sono più, mia madre ovviamente e Pietro Mattei, mio padre. Resta solo lui», l'assassino. Non lo nomina mai, Manfredi Mattei Filo della Torre, 39 anni, il figlio della contessa è stato, come dice lui, un osservatore, della vicenda. «L'ho subita, avevo solo nove anni, la nostra famiglia è stata distrutta 30 anni fa».

APPROFONDIMENTI
Olgiata, il maggiordomo che uccise Alberica Filo della Torre torna libero dopo 10 anni
Foto
Roma, corpo di un uomo in una valigia in strada a Pietralata. La compagna: «Mi sono sbarazzata del corpo»


Cosa direbbe all'assassino di sua madre se lo dovesse incontrare per strada?
«Gli direi bravo, complimenti l'hai sfangata. Sei stato un fenomeno. Dieci anni di carcere per aver ucciso una donna». 


È amareggiato? 
«Questa storia ha distrutto più vite assieme. E aggiungo che se non ci fosse stato mio padre a combattere con tenacia, l'omicida sarebbe ancora in giro. Una famiglia normale non so come avrebbe potuto affrontare una situazione del genere. Ci siamo potuti permettere economicamente di andare avanti per anni, ma mi chiedo questa è giustizia? Senza contare che è stato un sacrificio, una sofferenza mentale ed emotiva durissima. In questo mio padre è stato un modello anche per tanta gente».


 Tra poco, il 10 luglio, trascorrono i 30 anni dall'omicidio.
«Sono tanti, mi dispiace che mio padre non ci sia. Ma è meglio così, non ha assistito a questo obbrobrio che gli avrebbe fatto male. Non avevo rapporti idilliaci con lui, ma per quello che ha fatto, per me rappresenta un personaggio eroico. Venti anni a cercare la verità senza demordere mai».

 


Parla tantissimo di suo padre
«Questa è stata la sua lotta, senza la sua caparbietà non ci sarebbe stato l'arresto. Ha scelto il momento migliore per lasciarci (24 gennaio 2020, ndr) per non vedere la scarcerazione dopo 10 anni dalla sentenza nel 2011».


Quale sarebbe stata la detenzione che vi avrebbe soddisfatto.
«Negli Usa gli avrebbero dato l'ergastolo, si è trattato di un omicidio violento, a scopo di rapina. Questo è un Paese dove non paga nessuno». 


Perché gli investigatori non sono stati capaci di seguire la pista più logica, e invece hanno sposato le tesi più assurde?
«È più facile seguire qualcosa di eclatante che la storia più ovvia. Erano gli anni in cui scoppiò tangentopoli e andare dietro alle tesi più stravaganti faceva notizia, dava più visibilità. Poi c'è stata tanta negligenza, non sono state ascoltate tutte le intercettazioni, dove lui (Reyes) diceva che c'era la refurtiva, quello che aveva rubato in camera di mia madre, e doveva essere venduta».


Avete mai recuperato la refurtiva?
«Mai recuperata».


Manuel Winston, nel 1995, chiamò sua figlia Alberica
«Una persona scaltra» 


Chi era stato a licenziarlo?
«Non lo so. Mio padre mi disse che aveva bevuto delle bottiglie di vino pregiate e aveva fumato dei sigari portati da Cuba. Ed era stato trovato alticcio in giro per casa». 


Cosa le manca di più di sua madre?
«Mi manca la famiglia, quel giorno è stata distrutta una famiglia felice. Mio padre ha fatto di tutto per tenere l'equilibrio. Mi rendo conto solo adesso che non c'è più dello sforzo che ha compiuto».


Cosa ricorda di quel 10 luglio 1991, lei era un bambino.
«Io ero in villa, stavamo lì, tanto trambusto, tanta gente, i carabinieri. È stato l'inizio della fine di un certo mondo. Di una certa dimensione di Roma, del Paese».


In che senso.
«Non voglio esagerare se dico che il delitto dell'Olgiata è stato uno spartiacque nella storia di questo Paese. Ha anticipato con il suo clamore mediatico, la stagione degli scandali giornalistici che poi hanno caratterizzato, subito dopo, tangentopoli».    


La sua famiglia vive ancora nella villa?
«Abbiamo vissuto lì fino al 1992. Adesso ci sta uno sportivo in affitto. Sto cercando di salvare l'immobile da una situazione finanziariamente complicata». 


Non le ricorda un passato che vuole dimenticare?
«Al contrario, è un posto carico di ricordi felici. La disegnò mia madre e la costruì mio padre. Negli ultimi anni l'avevamo ribattezzata villa Mattei, con tanto di targa. Papà la guardava contento e divertito».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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