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Diabolik, il proiettile che uccise Piscitelli era del Reparto Scorte. Scoperta una talpa alla Squadra Mobile

La pallottola 9x19 parabellum che freddò Piscitelli faceva parte di un lotto del Viminale

Diabolik, il proiettile che uccise Piscitelli era del Reparto Scorte. Scoperta una talpa alla Squadra Mobile
Diabolik, il proiettile che uccise Piscitelli era del Reparto Scorte. Scoperta una talpa alla Squadra Mobile
di Valentina Errante e Alessia Marani
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 9 Novembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. : 19:20
4 Minuti di Lettura

L’ultimo giallo sulla morte di Diabolik riguarda il proiettile che l’ha ucciso. Perché la pallottola che è stata sparata da distanza ravvicinata alla testa di Fabrizio Piscitelli era in dotazione del Servizio Scorte. Una circostanza emersa dalle verifiche eseguite dalla Squadra mobile di Roma e dalla procura nell’ambito dell’inchiesta sul presunto esecutore materiale, l’argentino Raul Esteban Calderon, arrestato nel dicembre scorso. Non è chiaro come mai e per quali vie quel proiettile fosse finito nelle mani della criminalità.  

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Alle 18.44 del 7 agosto 2019, le telecamere di sorveglianza riprendono il killer vestito da runner: rallenta la corsa, sorprende alle spalle la vittima, si avvicina, punta l’arma e spara. Saranno poi proprio quelle immagini e alcune intercettazioni a portare gli inquirenti a Calderon, che oggi dovrà presentarsi davanti al gup. Ma non era ancora emerso che quell’unico proiettile 9x19 parabellum, che ha ucciso uno dei protagonisti della criminalità romana, faceva parte delle armi in dotazione al Reparto Scorte. Come si legge negli atti: «Munizionamento da guerra in uso alle forze di polizia, lotto 33/16 assegnato al reparto scorte del Viminale». Armi e proiettili vengono, ovviamente acquistati con bandi di gara pubblici e poi assegnati ai singoli uffici. Le indagini sui mandanti sono ancora in corso, le verifiche però non hanno sciolto il mistero del proiettile, né sono riuscite a stabilire a chi fosse in uso. O se appartenesse a un’arma persa o rubata a uomini della forze dell’ordine. Tanto più che la pistola che ha ucciso Diabolik non è mai stata ritrovata. 

Non solo. Calderon e il suo entourage avrebbero potuto contare su una talpa alla Mobile, un poliziotto prossimo alla pensione e con un secondo lavoro in un ristorante di Ottavia, zona di maggiore influenza dei fratelli Leandro ed Enrico Bennato con cui, secondo l’accusa, Diabolik sarebbe entrato in collisione. A chiamare in causa il poliziotto infedele, ora allontanato dall’ufficio poiché indagato, è Rina B., la 48enne ex compagna di Calderon. Secondo l’accusa era sua la pistola che ha sparato a Piscitelli, un’arma che la donna aveva sottratto al gioielliere Mangiucca di Torre Maura durante una rapina nell’aprile del 2019 e di cui Calderon si sarebbe impossessato - sostiene - a sua insaputa. Di fatto Rina è la principale accusatrice, con le sue rivelazioni, di Calderon e, ascoltata dalla Dda il 18 febbraio scorso racconta che la sera della rapina in gioielleria si presentò da lei Leandro (non indagato) per avvisarla che da un video ripreso dalla telecamera si vedeva chiaramente che fosse lei ad agire nonostante la parrucca e un camuffamento: «Mi disse che la notizia gli era arrivata da una persona della Squadra Mobile».

 

La casa di Rina e Raul verrà perquisita e tra le varie cose che gli agenti porteranno via ci sono anche delle Converse verdi che la donna aveva ai piedi durante un altro colpo al centro commerciale Le Torri di Tor Bella Monaca. Rina e Raul verranno allora convocati in Questura, a via Genova. «Il poliziotto mi disse che era giunto per me il momento di andare in galera ma che mi avrebbe fatto fare il Ferragosto a casa, come è stato». E quando Calderon chiede che cosa si potesse fare per farle evitare il carcere lui risponde: «Guarda, io perché conosco Leo e gli voglio bene, ti posso aiutare solo in questo modo, invece di chiamartene (accollartene, ndr) tre te ne chiamo due...», alludendo proprio alla rapina alle Torri. Motivo per cui restituisce alla donna la prova, ossia le scarpe, raccomandandosi di «farle sparire» sia mai potessero trovarle i carabinieri. Di “amicizie” in polizia, d’altronde, emerge traccia anche in una intercettazione di Enrico Bennato che, preoccupato per un suo coinvolgimento nell’omicidio dell’albanese Shehai Selavdi (di cui è accusato in concorso con Calderon), confida al suo interlocutore: «Me l’ha detto una guardia!.. M’ha detto che ho fatto una ca... che non finisce mai.. so’ andato a Torvaianica con la macchina mia.. hanno visto la macchina e preso la targa...». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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