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Elisabetta Silenzi e il sacrificio che ha fermato il killer Campiti. «È morta per noi, si è lanciata sull'assassino»

Il testimone: «L’amica le aveva urlato di nascondersi, lei non le ha dato retta»

Elisabetta Silenzi e il sacrificio che ha fermato il killer Campiti. «È morta per noi, si è lanciata sull'assassino»
Elisabetta Silenzi e il sacrificio che ha fermato il killer Campiti. «È morta per noi, si è lanciata sull'assassino»
di Alessia Marani e Raffaella Troili
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 13 Dicembre 2022, 00:08 - Ultimo agg. : 14:00
4 Minuti di Lettura

Non ha avuto paura, ha sacrificato la sua vita per salvare tutti gli altri. Quando ha visto Claudio Campiti aprire la porta del gazebo e cominciare a sparare prima a Sabina Sperandio, poi a Nicoletta Golisano e quindi anche alla sua adorata zia Bruna Marelli presidente del Consorzio Valleverde, lei, la segretaria Elisabetta Silenzi, 55 anni, mamma di due ragazze di 21 e 23 anni, non ha esitato un attimo ed è saltata addosso al killer per fermarlo. Lui si è voltato e le ha sparato a bruciapelo. A raccontarlo è Tonino, 62 anni, ufficiale dei Bersaglieri in pensione che all’assemblea di domenica in via Monte Giberto era seduto in penultima fila e ha visto l’inferno. «È stato tutto molto veloce - dice - alla sua destra Campiti aveva il banco con la presidente e le altre donne, mentre dietro di lui c’erano Elisabetta e la vicepresidente. Quest’ultima si è nascosta sotto il tavolo e ha detto anche a Betta di ripararsi. Invece lei con uno scatto si è lanciata su quell’omone da dietro, alle spalle, per fermarlo. Una scena che non scorderò mai. Ho visto Campiti voltarsi e ucciderla, mentre subito dopo Silvio Paganini ha approfittato del momento per lanciarsi su di lui. Anche lui è stato coraggioso, senza nulla togliergli, però - continua Tonino - senza il gesto di Elisabetta, non so se ce l’avremmo fatta. È stata lei la vera eroina». A quel punto il testimone spiega che un po’ tutti si sono gettati sul killer tenendolo placcato a terra. «Ciascuno ha fatto la sua parte - aggiunge - Ho scorto con gli occhi che l’assassino continuava a tenere in pugno l’arma così mi sono allungato e gliel’ho strappata dalle mani. Ho ancora la mia, di mano, dolorante e gonfia. Direi che nessuno ha agito per eroismo, piuttosto per sopravvivenza».

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La scena è agghiacciante e le telecamere del bar hanno ripreso tutto. «La signora Sabina era ancora seduta, ma morta. Silvio aveva la faccia bucata da un proiettile e grondava sangue ma tanta era l’adrenalina che si era rialzato e camminava avanti e indietro - aggiunge l’ex ufficiale - e quell’uomo non si placava, provava ad agitarsi con noi tutti sopra e continuava a gridare “mafiosi vi ammazzo tutti”, mentre dalla tasche scivolano fuori centinaia di colpi. Voleva davvero farci fuori tutti e trenta. L’arrivo dei carabinieri è stato provvidenziale». Massimo Laoreti, 56 anni, marito di Elisabetta, è distrutto: «Nessuna pietà per quel pazzo che ha distrutto tre famiglie, devono metterlo in carcere e buttare la chiave».

Intanto, ieri Silvio Paganini, 67 anni, manager di una piattaforma turistica, è uscito dall’ospedale ed è tornato a casa. «Non mi sento un eroe, sono solo una persona normale che ha cercato di evitare una strage, sul momento neanche ho avuto paura di morire, è stato solo un gesto istintivo e disperato». Salvo per miracolo, sotto choc e addolorato per le vittime della strage di domenica mattina, nella riunione del consorzio Valle Verde convocata a Fidene. È un momento di dolore e rifugge i riflettori. Lui che ha bloccato Claudio Campiti, il killer entrato nel gazebo esterno del bar di via Monte Giberto per uccidere tutti i suoi “nemici”, condomini del consorzio del Reatino sul lago del Turano. Dimesso dal Policlinico Gemelli ieri ripete: «Sono una persona normale che ha fatto un gesto istintivo in un momento drammatico e sono stato fortunato che nel corpo a corpo ho deviato la traiettoria del proiettile, altrimenti ero morto. Ma tanti altri sono venuti ad aiutarmi a bloccarlo». 

 

LA GIUSTIZIA

Non ha riportato gravi conseguenze, ma il suo pensiero è per chi non c’è più. «Il mio pensiero va a loro, alle tre donne morte, io ho fatto quel che mi è venuto sul momento, quando ho visto partire i colpi, il prossimo ero io, il mio gesto ha solo contribuito a fermare la strage, ma non chiamatemi eroe. Sono partito e basta, per pura disperazione, mi sentivo spacciato, i ricordi non sono così nitidi. So solo che mi sono gettato addosso a lui. E nella colluttazione è partito un colpo e per fortuna il proiettile è andato a sinistra invece che a destra, potevo essere morto anche io». Dell’assassino aveva timore. «Una persona che aveva chiaramente dimostrato segnali di squilibrio elevato. Ma come nei casi di femminicidio, ne parliamo sempre dopo, a strage avvenuta. Non c’è prevenzione. E forse è ora che la giustizia italiana si interroghi e agisca prima che sia troppo tardi, per evitare altre tragedia». Con Silvio c’era la moglie Antonella Rossi, educatrice di una scuola materna, anche lei ha visto tutto: «C’erano morti sulle sedie, Carlo Alivernini in preda a un infarto, è stato un incubo. Quell’uomo ci dava fastidio da tempo, c’erano stati anche strani incendi...». Le condizioni di Bruna Marelli, ricoverata all’Umberto I, sono stabili. Ieri sera ancora non sapeva che quelle che chiamava nipoti, Elisabetta e Nicoletta, non ci sono più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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