Dal punto di vista del diritto la grande inchiesta Eternit bis, cominciata a Torino ai tempi del procuratore Raffaele Guariniello, è un groviglio che sarà difficile districare. All'udienza preliminare il fascicolo è stato inviato a diversi tribunali italiani per competenza territoriale.
Ma se nel capoluogo piemontese - per ordine del gup - Schmidheiny è stato processato per omicidio colposo, a Vercelli (dove si procede per oltre 200 decessi) e a Napoli l'accusa è rimasta quella originale: omicidio doloso. Stessa condotta, reati differenti. La difesa, inoltre, lamenta che l'imprenditore è già stato giudicato (per disastro ambientale) in un processo chiuso dalla Cassazione nel 2014 con un proscioglimento per prescrizione: «Non si può essere giudicati due volte per le medesime accuse. Eternit bis calpesta diritti fondamentali». In attesa delle tappe successive, l'entourage di Schmidheiny interviene per affermare che l'imprenditore svizzero è «il capro espiatorio dell'inerzia dello Stato italiano», che nonostante le sollecitazioni della Comunità europea regolò «in ritardo» le procedure di lavorazione nell'amianto, mentre la Eternit «investiva miliardi nella sicurezza» e si atteneva a «norme nettamente più severe rispetto a quelle allora in vigore in Italia e nelle aziende concorrenti». L'Afeva (associazione delle vittime) definisce la sentenza torinese «un segnale debole ma comunque importante perché va nella direzione che stiamo auspicando: Schmidheiny è stato riconosciuto colpevole».