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Emoji di una risata come commento al post, condannato. «Faccine come prese in giro, possono essere diffamatorie»

Per la Cassazione l'icona della risata utilizzata per sbeffeggiare un ipovedente equivale a un insulto

Emoji di una risata come commento al post, condannato. «Faccine come prese in giro, possono essere diffamatorie»
Emoji di una risata come commento al post, condannato. «Faccine come prese in giro, possono essere diffamatorie»
di Paolo Travisi
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 27 Gennaio 2023, 00:24 - Ultimo agg. : 21:10
3 Minuti di Lettura

Chi non ha difetti. Fisici o caratteriali che siano, deriderli può essere un gesto ironico se si è tra amici o in grande confidenza, ma se non si condivide intimità, il buon senso (e evidentemente anche la legge) prevede di non farlo. I social hanno trasformato il privato in pubblico, tutto può essere esposto nell’agorà digitale ed in questa cornice, prendersi in giro, può facilmente divenire un gesto di body shaming.

APPROFONDIMENTI
Eroga e sesso nelle faccine
Emoji, cosa dicono gli esperti

Deridere una persona per qualsiasi sua peculiarità fisica, dall’essere troppo alto al troppo basso, con troppi capelli o pochi capelli, muscoloso o in sovrappeso, può essere un atto diffamatorio: un reato, commesso anche banalmente con un emoji, una di quelle faccine che si usano sempre più spesso tra messaggini e commenti social.

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Condannato per le emoji

E infatti una recente sentenza della Corte di Cassazione, la 2251 del 2023, ha considerato diffamatorio il post condito da una emoji di troppo e scritto da un uomo che sui social «offendeva la reputazione» di un imprenditore di lombardo perché commentando un post dedicato ai problemi di viabilità del Comune di Luino, faceva espresso riferimento ai suoi deficit visivi» corredando la frase con l’emoticon di una risata. E proprio qui, in quella faccina, si evidenzia, secondo i giudici, la diffamazione. 


Il simbolo è di certo il più usato nelle chat finisce per diventare strumento per commettere un reato. «Le offese, anche con le emoji, possono considerarsi un danno anche grave alla dignità delle persone con fragilità nei confronti del loro corpo - commenta Vera Cuzzocrea, consigliera dell’Ordine degli psicologi del Lazio - È importante perché riconosce la lesività della condotta, come una vera e propria diffamazione».


IL MESSAGGIO
In appello, infatti, i giudici avevano stabilito che si trattasse piuttosto di un’ingiuria, una differenza che può sembrare sottile, ma che ha un peso giuridico decisamente diverso: l’ingiuria – ossia l’offesa pronunciata direttamente nei confronti della vittima, e quindi in sua presenza – è stata depenalizzata per cui l’offeso può solo rivalersi in sede civile per ottenere il risarcimento economico di eventuali danni. «Questa depenalizzazione avrebbe tolto il riconoscimento della condotta e quindi del danno subito dalle vittime, mentre la sentenza della Cassazione ha il prestigio di restituire valore all’offensiva di una condotta», aggiunge Cuzzocrea. «La novità di questa sentenza è che l’emoticon viene riconosciuto come uno strumento di comunicazione rafforzativo del messaggio del contenuto testuale che talvolta è violento», sottolinea ancora la psicologa dell’Ordine del Lazio. Di fatto ad oggi, resta non sempre facile dimostrare di essere vittime del body shaming, come sostiene l’avvocato Francesco Paolo Micozzi, docente di informatica giuridica all’Università di Perugia, secondo cui «in questo caso l’emoticon è una spiegazione dell’intento della frase che potrebbe apparire anche come una critica a qualcosa di detto e fatto, invece la faccina che ride caratterizza la frase, evidenziando l’intenzione di dileggiare le caratteristiche fisiche di una persona. La difficoltà nel giudicare la diffamazione è che non c’è una matematica precisa ed in futuro, quella stessa emoticon, potrebbe anche non essere ritenuta offensiva. È sempre importante considerare il contesto».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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