Festa degli alpini a Napoli, intervista al generale Ignazio Gamba: «I nostri 150 anni di montagna»

Festa degli alpini a Napoli, intervista al generale Ignazio Gamba: «I nostri 150 anni di montagna»
Gianni Molinaridi Gianni Molinari
Sabato 15 Ottobre 2022, 09:00 - Ultimo agg. 17 Ottobre, 10:36
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«Gli alpini fondati a Napoli? perché sarebbe strano? La terza medaglia d'oro di un alpino è di un napoletano, Edoardo Bianchini, e tanti sono stati e sono i napoletani con la penna nera». Il «capo» delle truppe alpine dell'Esercito, il generale di Corpo d'armata Ignazio Gamba, è proprio quello che ci si immagina di un alpino: innamorato della montagna, del modo di vivere riservato e operoso in montagna e, chiaramente, dei valori di solidarietà che gli alpini portano ben oltre la divisa. Tocca a lui guidare le celebrazioni per i 150 anni di costituzione del Corpo che Vittorio Emanuele II firmò nel Palazzo Reale di Napoli il 15 ottobre 1872, istituendo le prime 15 compagnie per difendere i confini alpini. 

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Generale, 150 anni di storia e una penna sul cappello che attira il mondo.
«La penna ha sempre incuriosito, è il nostro simbolo: ora è di materiale sintetico e non si vede agli infrarossi.....».

Perché gli alpini sono hi tech....
«Gli alpini - e tutto l'Esercito - sono al passo dei tempi: ma con l'occhio sempre all'uomo.

Come spiega il documento Esercito 4.0 del capo di stato maggiore Pietro Serino nel futuro c'è tecnologia, multidimensionalità, cyber e droni ma tutto inizia e finisce con l'uomo».

Quindi?
«Sempre più formazione, in meno tempo e meglio. E poi più sicurezza: Nei nostri centri di addestramento tattico abbiamo investito sulla simulazione: i soldati sono come robot con tanti sensori per capire le reazioni all'uso delle armi e anche altro».

Ma anche la guerra, come dimostra il conflitto in Ucraina è cambiata, almeno è cambiata una certa dottrina che riteneva possibili microconflitti determinati dalle forze speciali.
«Bisogna sempre pianificare avendo in testa la situazione più onerosa, dove impieghi risorse umane e materiali per lungo periodo. Dopo l'Ucraina ci si sta riorientando su questo: addestramento importante per operare in ambienti degradati, modalità che consente di fare qualsiasi attività a favore del Paese. Bisogna coniugare l'esperienza, con la capacità di saper sfruttare anche risorse non necessariamente militari».

Nell'Esercito fatto da professionisti non c'è più l'arruolamento regionale degli Alpini, cos'è cambiato?
«C'era una logica nell'arruolamento regionale ed era quella della conoscenza del territorio, ma già dagli anni 90, ancora con la leva obbligatoria, nel Corpo sono arrivati da tutte le regioni, in particolare dalle aree montane meridionali: Avellino, la Basilicata, la Calabria. I ragazzi hanno chiesto di venire tra gli alpini per la nostra originalità, la forza condivisa, il sentimento di coesione, lo spirito di corpo».

Che non termina con la fine del servizio.
«Non fai più l'alpino, crei l'associazionismo: nel 1919, alla fine della Grande Guerra, alcuni ufficiali degli alpini a Milano, vedendo la situazione dei reduci, decisero di creare una struttura per chi era tornato a casa e non aveva trovato niente: era l'Associazione degli Alpini».

L'unica che non è guidata da un generale in pensione...
«Io sono ancora in servizio, i generali hanno già lavorato abbastanza (ride): è vero non è guidata da un generale, lo statuto prevede un certo percorso per il consiglio e del presidente che oggi infatti è un ingegnere, un capitano ex ufficiale di complemento».

Cosa dice a un ragazzo che vuole fare l'alpino?
«Che siamo malati di entusiasmo, l'alpino in qualsiasi situazione guarda sempre al tutto come un'opportunità: se non superi l'ostacolo non arrivi alla baita! Una esperienza con noi significa formarsi mentalmente andando, vivendo e operando in montagna».

Anche a un ragazzo che viene da un luogo di mare.
«Perché no?». 

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