Finti test sui pacemaker, nei guai 4 dirigenti dell'Iss: «33mila pezzi sul mercato»

Finti test sui pacemaker, nei guai 4 dirigenti dell'Iss: «33mila pezzi sul mercato»
Finti test sui pacemaker, nei guai 4 dirigenti dell'Iss: «33mila pezzi sul mercato»
di Michela Allegri
Domenica 17 Ottobre 2021, 08:00
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Pacemaker, neuro-stimolatori e stent coronarici immessi sul mercato, e impiantanti a decine di migliaia di pazienti, ma privi della certificazione di conformità. Ancora peggio: dotati di certificazioni false, emesse dall'Istituto superiore di sanità, ma in realtà inesistenti, visto che nei laboratori dell'Ente i macchinari erano fatiscenti, datati e praticamente inutilizzabili. I dispositivi finiti nel mirino della Guardia di finanza sono in tutto 33.193: sono stati acquistati dagli ospedali di tutta l'Italia tra il 2010 e il 2014. Il danno calcolato dalle Fiamme gialle per le casse pubbliche è milionario e a pagare potrebbero essere i quattro responsabili del dipartimento Tecnologie e Salute dell'Iss che si sarebbero dovuti occupare delle autorizzazioni: la Corte dei conti del Lazio li ha citati in giudizio, chiedendo loro di risarcire l'Ente e il ministero della Salute con 3.054.714 euro.

L'atto è stato notificato a Velio Macellari, da luglio 2007 a dicembre 2012 direttore del dipartimento Te.Sa., Mauro Grigioni, all'epoca delegato del direttore di dipartimento, Giuseppe D'Avenio, in quegli anni responsabile della linea di prodotto per il tipo stent coronarici e periferici, insieme a Carla Daniele. 

Dalle indagini, condotte dal viceprocuratore regionale Massimiliano Minerva, è emersa l'emissione di certificati di conformità - irregolari - per 43 modelli di «dispositivi medici impiantabili attivi», del tipo pacemaker e neuro-stimolatori, e anche per 37 modelli di stent coronarici.

Nel caso degli stent, addirittura, la documentazione sarebbe stata prodotta solo successivamente e quando le verifiche della Finanza erano già in corso. Le indagini, per l'accusa, hanno dimostrato anche l'inesistenza dei rapporti di prova, l'omessa effettuazione dei test di laboratorio - almeno per quanto riguarda i pacemaker - e, soprattutto, l'impossibilità di effettuarli a causa «dello stato di obsolescenza e non funzionamento della maggior parte dei macchinari» presenti, avevano annotato gli investigatori in un'informativa. Realizzare le verifiche era praticamente impossibile: sensori rotti, strumentazione mancante, macchine ferme. Per gli investigatori, quindi, è impensabile che i responsabili non sapessero che le prove dei dispositivi non erano mai state effettuate. 

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Negli atti viene specificato che Macellari avrebbe firmato 33 certificati relativi a modelli di pacemaker e neuro-stimolatori, poi immessi a migliaia sul mercato, e avrebbe approvato anche 20 modelli di stent. In tutti i casi, secondo l'accusa, avrebbe certificato l'esistenza di rapporti di conformità che non erano mai stati compilati. Secondo i magistrati, Grigioni e la Daniele, pur essendo a conoscenza dello stato - pessimo - dei macchinari di laboratorio e pur sapendo che i responsabili di linea di prodotto avevano rinunciato all'incarico, visto che era impossibile effettuare i test, non avrebbero preso i provvedimenti necessari per impedire l'emissione dei certificati. Uno degli attestatori ha anche raccontato di avere subito pressioni perché firmasse i rapporti di conformità in assenza dei requisiti previsti. D'Avenio, invece, su ordine del nuovo direttore di dipartimento - ora deceduto - avrebbe compilato e stampato rapporti di conformità postumi relativi ai modelli di stent finiti sotto inchiesta. Nel 2014, durante una perquisizione, i finanzieri avevano infatti trovato sul suo computer un file per la creazione dei documenti, mentre nel suo ufficio c'erano i rapporti relativi a certificati emessi ben quattro anni prima. 

L'attestazione di rispondenza dei prodotti a requisiti essenziali di efficacia e sicurezza è un dato necessario per la commercializzazione e, dunque, per l'utilizzo da parte delle strutture sanitarie pubbliche. Visto che la documentazione in questione, secondo il pm, non esisteva, il danno contestato riguarda sia le mancate ore di lavoro dei responsabili del dipartimento, sia il prezzo pagato dal Servizio sanitario nazionale per l'acquisto dei dispositivi. Il costo effettivo era stato di 29.577.677 euro. Ma i magistrati hanno deciso di contestare ai quattro imputati il 10% del danno totale.

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