Forconi, direttore ordine pubblico del Viminale:
«Movimento imprevedibile, Polizia non ha interlocutori»

Forconi, direttore ordine pubblico del Viminale: «Movimento imprevedibile, Polizia non ha interlocutori»
di Cristiana Mangani
Sabato 14 Dicembre 2013, 11:15
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Non li abbracciamo ma certo le nostre reazioni, rispetto al passato, sono molto cambiate. Armando Forgione, direttore del Servizio ordine pubblico del Viminale, è un tipo schivo e riservato. Sceglie di parlare per la prima volta con un quotidiano per spiegare come è cambiata “la politica” della Polizia. Il test lo ha dato il movimento dei forconi, questo mix di sigle che agitano le città, racchiudono molte anime, e nascondono possibili schegge impazzite. Le regole, invece, le ha indicate lo stesso capo della Polizia, Alessandro Pansa, che negli ultimi mesi ha diffuso tra i suoi dirigenti una sorta di protocollo dell’ordine pubblico. E prima di lui aveva già cominciato il lavoro di rinnovamento il prefetto Antonio Manganelli.



Dottor Forgione, che protesta è questa del movimento dei forconi?

«Siamo abituati a manifestazioni non usuali ma generalmente sono riconducibili a una fazione. In questo caso non è così. È una protesta difficile, perché imprevedibile. Ci era stata data la comunicazione dello sciopero dell’autotrasporto dal 9 al 13 dicembre. Poi, però, il 95 per cento dei sindacati si è sfilato perché è stato trovato un accordo il 28 novembre, sono spuntate due sigle, ma anche tanta confusione».



Il gruppo annuncia ora lo sbarco nella Capitale, che potrà succedere?

«In realtà, finora, l’unico che si è presentato in questura a Roma è stato Daniele Calvani, l’agricoltore di Latina, che rappresenta il Coordinamento nazionale 9 dicembre. Ma è stata solo una visita per avere informazioni, nessuna comunicazione formale. Non c’è un vero interlocutore della protesta, è un fritto misto di situazioni non interpretabili. Il livello di attenzione è molto alto».



C’è una forte rappresentanza della destra.

«Sì, la connotazione è di destra, ma è molto frastagliata: Forza Nuova, Casa Pound, Fratelli d’Italia e Storace. A Torino erano presenti anche i centri sociali, come Askatasuna, che non avevano alcuna voglia di lasciare la piazza agli avversari. Sono stati tutti insieme nei presidi, ma non hanno effettuato alcuna azione comune, hanno agito ognuno in punti diversi della città».



Esiste un disegno destabilizzante?

«La volontà è di tenere le acque agitate. Anche le proteste degli studenti dell’università La Sapienza di ieri rientrano in questa logica».



Le vostre reazioni sembrano cambiate: gli episodi di Torino e Rho, con i poliziotti che si levano il casco, che significato hanno?

«È cambiato il metodo di approccio. Ora chi è destinato a fare ordine pubblico è molto preparato, non c’è più spazio all’improvvisazione. I picchiatori della Celere li consegnerei a episodi storici. Io ho fatto tanto ordine pubblico: bastava che ci tirassero le monetine e partiva la carica, ora no. La storia del casco è stato un gesto distensivo, l’ordine di toglierselo è stato dato perché la situazione era ormai tranquilla. La stessa cosa è avvenuta nel caso della manifestante No Tav che bacia il poliziotto».



Quanto ha pesato la vicenda del G8 di Genova in queste scelte?

«Da quel momento è partita una grossa riflessione. Nel 2008 è stato inaugurato il Centro di formazione per la tutela dell’ordine pubblico di Nettuno: ora il modello operativo e di intervento è uguale a Catania come a Milano. Gli episodi recenti mettono chiaramente in evidenza qual è il nostro spirito. E se è necessario intervenire con una carica, l’obiettivo non è fare feriti, ma disperdere. Il corteo deve avere una via di fuga. Se c’è un fiume dietro la protesta, non interveniamo, se c’è un ponte o una strettoia pure. Oggi, negli spazi del Reparto mobile di Roma, c’è anche una palestra dove si allenano a rugby 250 bambini, che altrimenti non saprebbero dove fare sport».
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