Funerali, Bagnasco: «Genova è ferita, ma non si arrende». L'Italia si è fermata

Funerali, Bagnasco: «Genova è ferita, ma non si arrende». L'Italia si è fermata
Sabato 18 Agosto 2018, 10:51 - Ultimo agg. 19 Agosto, 09:51
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dal nostro inviato 
GENOVA Le campane suonano a lutto in città, nello specchio di mare davanti alle bare allineate scivola un rimorchiatore con la bandiera di Genova a mezz’asta. Una chiesa non è sufficiente per contenere tutto il dolore per i morti travolti dal ponte Morandi e i diciannove feretri coperti di rose bianche. Dopo la strage del viadotto, alcuni parenti hanno riportato i loro cari a casa, chi è qui nel grande capannone vuole un funerale di Stato: riconosce il valore dei vigili del fuoco che hanno estratto i corpi dalle macerie, stringe le mani ai politici e chiede giustizia. «È una tragedia che ha coinvolto tanti, l’intero Paese. È una tragedia inaccettabile. Bisogna accertare la verità e garantire la sicurezza», afferma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

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CLIMA CALDO 
Questa è una cerimonia speciale, non solo per il numero di vittime, ma anche per il carico emotivo di chi partecipa. Famiglie distrutte, amori spezzati. Chi è vivo ma su quel ponte passava tutti i giorni, ora si sente un miracolato. Cinquemila persone affollano il palazzetto e i primi a prendere posto, in una sorta di doloroso memento, sono i familiari delle vittime della strage di Viareggio con il loro striscione. Il clima si surriscalda, il corridoio riservato alle autorità pare l’ingresso nell’arena: applausi a Mattarella, al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al presidente della Camera Roberto Fico. Che china il capo: «Chiedo scusa, anche se non è mia colpa oggi, a nome dello Stato, per quello che può non aver fatto negli ultimi anni». Defilati i vertici di Autostrade, battimani per i ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio, fischi e cori - «Vergogna» - per il segretario del Pd, Maurizio Martina, e l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti (genovese). Sergio Cofferati, l’ex leader della Cgil che in città ha corso per le primarie dem, non viene nemmeno riconosciuto, segno di una città rossa che ha voltato le spalle a cinquant’anni di governo della sinistra. «Fagli il mazzo», è la richiesta esplicita a Di Maio del parente di una vittima. E il ministro non si tira indietro: «Tranquillo, questi i nostri ponti e le nostre strade non le gestiranno mai più». Anche Salvini stringe mani, ascolta e rassicura. Si avvicina alla bara di Luigi Matti Altadonna, 35 anni e quattro figli, il più piccolo ha 15 anni e per l’occasione indossa un completo grigio da uomo che lo fa sembrare ancora più ragazzino. «Vogliamo giustizia - dice Giuseppe, padre della vittima - pretendiamo risposte». Salvini promette: «Uniti nel dolore e nella richiesta di verità e giustizia, determinati a non mollare» 




LE SIRENE DEL PORTO 
Italiani accanto a francesi, cileni, albanesi. Il viadotto crollato è il simbolo di un ponte tra i popoli che va ricostruito, «ha provocato uno squarcio nel cuore di Genova, una ferita profonda che nessuna doverosa giustizia può cancellare», dice nell’omelia il cardinale Angelo Bagnasco. Ci sono i camalli del porto che si stringono attorno alla bara del loro compagno Andrea Cerulli, le famiglie degli operai che andavano a lavorare. Arriva una squadra dei vigili del fuoco per dare l’ultimo saluto ai morti. Accarezzano i feretri commossi e l’applauso questa volta è lunghissimo: «Se lo meritano soltanto loro», è il sentimento prevalente. Tra le bare disposte a semicerchio, una sporge dalla fila: è quella di Samuele, 8 anni, il più piccolo rimasto sotto le macerie. È bianca, con un cuscino di fiori gialli e due peluche. La mamma di Ersilia, nonna del bimbo, non si dà pace: «È inaccettabile morire così. Mi hanno cancellato la famiglia. Mia figlia, mio genero e il nipotino che era la luce dei miei occhi. E tutto per che cosa? Per l’incuria. Posso capire un incidente, una fatalità, ma l’incuria non l’accetto. Fate qualcosa, dovete farlo». L’impotenza per ciò che è successo si accompagna alla determinazione che non si ripeta più. La lettura dei nomi delle vittime dura un minuto, sembra non finire più, e precede un altro simbolo di questa giornata: l’«Allah Akbar» scandito cinque volte dall’imam di Genova per salutare i fedeli musulmani morti sul viadotto. La cerimonia si chiude, ma i familiari non si staccano dalle bare. Sono tanti gli amici da abbracciare, i parenti arrivati da lontano. E prima che tutto finisca, dal porto arriva il suono delle sirene. Forte, prolungato, che è insieme un addio ma anche un benvenuto per i naviganti che attraccano al molo.


 


 

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