L’ultimo “regalino” è stato un Rolex da 6.300 euro. Il gip di Latina, Giorgia Castriota, lo desiderava tanto da suggerire al compagno, al quale conferiva gli incarichi, il commercialista Silvano Ferraro, arrestato insieme a lei giovedì, di farsi pagare un compenso di 500mila euro in una procedura. Ma dagli atti dell’inchiesta della procura di Perugia, che ha portato ai domiciliari anche Stefania Vitto, un’amica del magistrato incaricata ad amministrare una società per 10mila euro al mese, emerge come la gestione dell’ufficio da parte del giudice fosse solo finalizzata a ottenere soldi, ai danni delle aziende. Perché a Castriota, come scoperto dalla Finanza di Perugia, venivano assicurati: il pagamento dell’affitto e poi le utenze, lo stipendio della colf, viaggi, vacanze e, ancora, il ripianamento di esposizioni debitorie, l’abbonamento annuale in tribuna d’onore allo stadio Olimpico da 4.300 euro. Addirittura, il “Dado” di Bulgari, «uno sfizio».
E poi 1.800 euro al mese dal compagno e 3mila dalla Vitto, con una Postepay. E il bonifico da mille euro, fatto dal commercialista al giudice per Natale: «Tanti auguri amore mio». Con Ferraro, col quale trascorre le vacanze (abitualmente pagate dall’uomo), lo scorso aprile Castriota è volata a New York. Costo 3.200 euro.
«La personalità di Castriota - scrive il gip - è quella di una donna che ha bisogno di soldi, ma non perché il suo stipendio sia oggettivamente basso, percependo oltre 3mila euro mensili, ma perché si ostina a voler vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche». Ma Castriota avrebbe fatto di più, tentando di portare al fallimento le società, emettendo provvedimenti che annullassero i dissequestri disposti alla procura e ingaggiando una vera e propria battaglia per disporre nuovi provvedimenti per impedire che le aziende tornassero ai titolari ed emergessero le irregolarità.
Giorgia Castriota, le intercettazioni
Le intercettazioni raccontano come Castriota sfruttasse i compensi che liquidava al compagno per soddisfare quello che Ferraro e Vitto definiscono il suo problema di «shopping compulsivo».
L’interesse
Nell’ordinanza il giudice fa riferimento a come la coppia fosse tenuta unita solo dall’idea del profitto: la relazione, scrive, «sembra più improntata al mantenimento del reciproco vantaggio economico e alla convenienza, piuttosto che a un vero rapporto affettivo, poiché entrambi manifestano perplessità sul fatto di voler mantenere in piedi il rapporto che, tuttavia, non viene interrotto per continuare a lucrare sull’amministrazione giudiziaria». E infatti Ferraro dice a un amico: «Quella di Latina non ce la faccio più». E quello risponde: «Statte bono, sta fermo, aspetta, aspetta, aspetta… non è la donna per te, questo è chiaro. Adesso sta bono, concludi le tue cose e dopo prendi la decisione». E alla domanda dell’interlocutore che chiede quanto tempo serva, Ferraro risponde: «Penso 6 mesi ancora», aggiungendo: «E te sto facendo fà pure bella figura (riferendosi a Castriota), perché le attività che portiamo avanti sono tutte attività proficue per il risultato che tu devi ottenere». E l’amico: «Se era un’impiegata delle Poste... l’avevi lasciata dopo 6 mesi».
Pressioni
L’inchiesta nasce dalle denunce di un imprenditore al quale vengono sequestrate le società e che si trova ancora in carcere su ordine di Castriota: Fabrizio Coscione, indagato per reati fiscali. È lui a rivelare il rapporto tra il gip e Ferraro. Quando arriva un ordine di revoca parziale del sequestro da parte della procura di Velletri, Castriota si terrorizza: le irregolarità potrebbero emergere. Si legge nell’ordinanza: Castriota dispone un nuovo sequestro «per evitare che Coscione rientri in possesso, anche per poco, delle quote societarie, andando anche in contrasto con il pm titolare del fascicolo, poiché il nuovo decreto impone il vincolo anche sui Consorzi che controllano le società di Coscione, al di là quindi della stessa richiesta». Comincia un pressing che raggiunge il procuratore aggiunto e poi il presidente del Tribunale di Latina. Castriota contatta anche l’ex componente del Csm Aldo Morgigni, perché la introduca e faccia «moral suasion» con il procuratore generale Salvatore Vitello. «La sua paura è che finisca il gioco», commenta Ferraro.