Se la giustizia si arrende alla violenza sulle donne

di Titti Marrone
Lunedì 25 Marzo 2019, 08:00 - Ultimo agg. 09:21
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Abbiamo capito bene? Dunque la ragazza di 25 anni che ha denunciato di essere stata violentata da tre giovani conoscenti in un ascensore della Circum in realtà voleva essere stuprata? Nella sostanza sembra essere proprio questo il sottotesto della decisione del Tribunale del Riesame che venerdì ha messo in libertà uno dei tre. Decisione presa in evidente contraddizione con quanto era stato dichiarato dal gip che aveva disposto la carcerazione, e dopo aver visionato vari elementi probatori, specialmente le riprese effettuate dalle telecamere: per il Riesame, dalle immagini non risulterebbe che la ragazza sia stata costretta a entrare nell'ascensore con una spinta né all'uscita mostrerebbe abiti in disordine o altri segni di violenza appena subìta. Però, a complicare il quadro delle contraddizioni tra gip e Riesame viene fuori che il referto stilato dal centro antiviolenza del Cardarelli confermerebbe il racconto della giovane. Ma il Riesame insiste in particolare sul bacio sulla guancia che i due si sarebbero scambiati salutandosi.

Mercoledì si deciderà se rilasciare o meno anche gli altri due ragazzi. Intanto viene da chiedersi: allora siamo a questo? Un bacio su una guancia equivale a incoraggiare un uomo a sbatterti contro una parete, ad alzarti la gonna e andare avanti indisturbato? Il fatto che la ragazza sia entrata in ascensore volontariamente starebbe a significare che in realtà non desiderava altro che essere assalita brutalmente da un giovane suo conoscente pronto a cedere il posto agli altri due suoi compari avvicendatisi nello stupro dopo di lui?

Altro che marzo mese della donna. Forse solo ai tempi del Codice Rocco, e mai come in questi giorni, la giustizia penale sta sciorinando sentenze, decisioni e ordinanze così ferocemente avverse al genere femminile. E da Messina arriva l'eco della sentenza forse più incredibile di tutte: la Corte d'Appello ha revocato il risarcimento già erogato, di 259.200 euro, per i tre figli di Marianna Manduca, ammazzata dal marito nel 2007. I tre, oggi adolescenti e molto piccoli quando, dodici anni fa, il padre uccise la madre, dovrebbero anche restituire interessi di dodici anni su quella somma. Leggete bene il perché, fidatevi pure dei vostri occhi: per i giudici di appello, «l'epilogo mortale della vicenda (cioè l'uccisione a coltellate) sarebbe rimasto immutato». Ecco il motivo, secondo gli estensori della sentenza che ha ragione Mara Carfagna sancisce l'impotenza dichiarata, anzi la resa assoluta, dello Stato italiano di fronte ai femminicidi: «A nulla sarebbe valso sequestrargli il coltello con cui l'ha uccisa, dato il radicamento del proposito criminoso e la facile reperibilità dell'arma». Cioè: siccome il mondo è pieno di coltelli, e poiché l'uomo aveva già minacciato la moglie, tant'è che Marianna Manduca lo aveva denunciato ben 12 volte, che ci vuoi fare? Il femminicidio era inevitabile. Era scritto che lui si sarebbe procurato la lama affilata, era scritto che la avrebbe affondata nelle carni della moglie e amen.

Non si può accettare. Come era e resta inaccettabile la sentenza della Corte di Bologna che nei giorni scorsi ha quasi dimezzato la pena all'omicida di Olga Matei ritenendolo, com'è scritto nella motivazione, affetto da tempesta emotiva scatenata dalla gelosia. Ho scritto allora che equivaleva a un ritorno al delitto d'onore, ma poi c'è stato dell'altro: la sentenza giustificatoria di Genova sulla profonda delusione del maschio tradito, quella di Ancona dove un ragazzo è stato assolto dall'accusa di violenza a una giovane peruviana perché lei era troppo brutta per essere stuprata, non per niente era soprannominata Vikingo.

Viene da chiedersi che cosa stia capitando alla giustizia penale se si arrende di fronte a una pretesa ineluttabilità del femminicidio, o se equipara un bacio a un incitamento alla violenza su di sé. Per i giovani indicati come aggressori dalla ragazza a San Giorgio a Cremano si prospetterebbero altre giustificazioni riferite allo stato mentale di lei, ai suoi disturbi alimentari, a disagi psichici veri o presunti.
Se davvero poi la giovane della Circum, che ieri ha dichiarato al nostro Leandro Del Gaudio di voler lasciare Portici dov'è nata e andare via, dovesse avere una qualche forma di disagio psichico, questo farebbe di lei una persona consenziente all'atto sessuale? O dovrebbe piuttosto essere considerata una circostanza aggravante per gli aggressori? Con quale aggettivo andrebbero nel caso definiti gli uomini approfittatori di una giovane donna dal quadro mentale confuso? Direbbe Romina Amicolo, studiosa di diritto e co-autrice del bel libro Se il mondo torna uomo curato da Lidia Cirillo: «Il riconoscimento del legame tra violenza sulle donne e violenza sui soggetti vulnerabili rivela l'origine ideologica del sessismo come svalutazione e disprezzo delle donne () e mira a presentare la violenza sugli uni e sugli altri come qualcosa di naturale, come la violenza naturale dei più forti sui più deboli». Come a dire, il maschio è maschio, se la donna è debole peggio per lei, è naturale e giusto che lui prevalga anche con la violenza: è la legge della giungla.

Ma com'è possibile che il sistema giudiziario possa avallare una simile visione del mondo? Purtroppo la risposta viene da sé, o meglio sembra scaturire da quello che Lidia Cirillo chiama «il nuovo ciclo politico globale» avverso alle donne, la «vera e propria controffensiva» portata all'«unico grande movimento di liberazione fin qui non sconfitto». Insomma il sistema giuridico, con sentenze emesse a volte anche da giudici donne, si farebbe condizionare dallo spirito del tempo, totalmente sessista: quanto sessista sia verrà fuori in piena evidenza al forum di Verona del prossimo fine settimana, di cui lo scorso mercoledì ha scritto Francesco Lo Dico su queste pagine. Ma era già chiaro da tempo, e da molti segnali, uno tra tutti il modo in cui durante la campagna elettorale Donald Trump suggeriva che occorresse trattare le donne: prendendole per i genitali.
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