Green pass, l'Italia che dice sì: «C'è tanta voglia di tornare alla normalità»

Green pass, l'Italia che dice sì: «C'è tanta voglia di tornare alla normalità»
di Gigi Di Fiore
Sabato 23 Ottobre 2021, 23:58 - Ultimo agg. 25 Ottobre, 07:07
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C’è una maggioranza silenziosa nel Paese. Una maggioranza che ha accettato di vaccinarsi e ha sperato di riprendere a lavorare, seguendo le indicazioni e i comportamenti suggeriti per arginare il contagio del Covid. In questa pagina, ne compare una parte esemplificativa con 5 storie di persone «normali», impegnate in attività che non fanno notizia sui giornali ma sono importanti per il Paese come qualsiasi altro lavoro. Dalle loro voci, emerge una richiesta di serenità, lontano dagli schiamazzi sui social contro chi la pensa in maniera diversa. Cinque esempi di persone che si sono fidate a seguire l’unica strada al momento praticabile per uscire dall’incubo pandemia: la vaccinazione. C’è l’operaio dello stabilimento «Giambattista Vico» di Pomigliano, il funzionario dell’Inps, il professore di scuola superiore, il cameriere di ristorante, il badante straniero regolare in Italia da oltre 20 anni. Tutti insieme a raccontare la loro «normalità», la loro voglia di quotidianità riempita dal lavoro, dalla famiglia, gli amici, le uscite senza paura, tornando a stringersi la mano e guardarsi negli occhi senza il filtro della mascherina. È un’Italia diversa da quella delle proteste in piazza a Trieste o a Roma. L’Italia che non strepita. 

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L’operaio di Pomigliano

«Su green pass e vaccini il sindacato è ambiguo»

Lavora allo stabilimento «Giambattista Vico» di Pomigliano. Quello che fu Alfasud, poi Fiat, ora Stellantis. Gerardo Giannone è al reparto logistica. Come gli altri 4500 dipendenti dello stabilimento, alterna la cassa integrazione al periodo di lavoro. «Da un mese sono nella fase lavorativa» racconta. In questa struttura aziendale, è occupato da anni. Ed è tra quelli che, sin dall’inizio, non ha mai messo in dubbio la necessità di vaccinarsi contro il Covid anche quando non si parlava ancora di green pass. Dice: «Non ho la laurea in medicina, mi sono fidato e con me tutta la mia famiglia.

Abbiamo deciso dopo due riunioni familiari. Due pranzi domenicali, il primo a casa di mia suocera e il secondo da mia madre. Tutti concordi sul vaccino, analizzando i pro e i contro. Tutti convinti». Giannone ha perfezionato il ciclo di vaccinazione già ad aprile con il Pfizer. Per la sua condizione personale, è stato considerato «soggetto fragile», ha avuto la possibilità di prenotarsi quasi subito sulla piattaforma regionale. Spiega: «Al lavoro, siamo 1700 divisi nei due turni. Superata la barriera con i badge, c’è un sistema di controllo del green pass a campione. Suona un campanello e per ogni turno il controllo viene fatto su 340 persone. Sì c’è chi non ha il green pass e fa i tamponi o si è messo in permesso. Penso sia il risultato di un atteggiamento sindacale ambiguo sul tema vaccinazione, tamponi e green pass».

Il funzionario Inps

«A contatto con il pubblico tutelarsi è indispensabile»

È originario di Castellammare di Stabia, ma per lavoro vive già da qualche anno a Terni. Dipendente dell’Inps, Antonio Apuzzo ha completato il ciclo di vaccinazione Astra Zeneca a giugno. Prima dose a marzo. Racconta: «Ci siamo vaccinati tutti in famiglia, mia moglie lavora negli uffici Inps come me e non ha avuto dubbi. Abbiamo premuto per accelerare il nostro inserimento negli elenchi di chi, per il suo lavoro, doveva vaccinarsi. E il dirigente dell’ufficio ha appoggiato questa richiesta, sottolineando che all’Inps ci occupiamo di cassa integrazione e bonus, con continui contatti con il pubblico».
Antonio Apuzzo ha sempre evitato polemiche con i pochi colleghi che non la pensano come lui e non si sono vaccinati. «Non sono molti, credo che su un organico totale, nell’ufficio Inps di Terni, su 98 dipendenti, sono al massimo tre. Un collega si è messo in permesso, in attesa di capire come evolve la situazione. Ma ha problemi familiari».
Nella famiglia di Antonio Apuzzo si sono vaccinati anche i due figli. «È anche un discorso di tranquillità, di libertà a viaggiare, andare al cinema, spostarsi. Il green pass è un documento, conta la scelta convinta che per uscire fuori dall’incubo Covid non restava che il vaccino. E se dovrò fare la terza dose, la farò senza alcun problema. Ho fatto persino la vaccinazione anti-influenzale per ulteriore tranquillità».

Il prof di Villaricca

«Rispetto chi è contrario ma la scuola non è Dad»

Insegna Scienze motorie all’I.C. «Giancarlo Siani» di Villaricca. Ma Ciro Diaspro è anche fisioterapista e, proprio per questo, da operatore sanitario si è dovuto vaccinare prima degli altri. «Il mio è stato un doppio obbligo, legato al settore sanitario e all’insegnamento a scuola, che mi ha fatto inserire negli elenchi di chi aveva la precedenza iniziale sul vaccino» spiega. Rispetto per chi non vuole vaccinarsi, ma Ciro Diaspro è convinto che sia l’unica strada per uscire dalla pandemia e per avere sicurezza nei luoghi di lavoro.
«Abbiamo vissuto i mesi della didattica a distanza, ma la presenza è un’altra cosa. Certo, ci sono anche ragazzi non vaccinati ma l’obbligo per noi è un dovere nei loro confronti» dice. Ciro Diaspro si è vaccinato con Moderna, con lui è vaccinata la moglie, che lavora in una struttura ospedaliera, e il figlio che fa il medico. Vaccinata anche la figlia, che lavora al nord. Racconta: «L’obbligo di controllare il green pass a scuola è stato affidato alla vice preside, che nei primi giorni, attraverso il suo smartphone, ha verificato uno ad uno i nostri Qr code. Poi, naturalmente, il controllo quotidiano su chi si sa è in possesso del green pass è sembrato superfluo. Ma a scuola nessuno è no vax. Credo che presto sarò inserito, per la mia attività sanitaria, anche tra quelli che devono fare la terza dose. Ma non ho alcun problema».

Il cameriere dell’Umberto

«Anche prima dell’obbligo ho scelto la tranquillità»

Al ristorante ultracentenario «Umberto» di Napoli, lavora da oltre 15 anni. Stefano Greco ne è uno dei camerieri, dipendenti a tempo pieno della struttura. Come i suoi colleghi, ha sofferto per la chiusura imposta dalla pandemia e il ritorno al lavoro è stato un ritorno alla vita. Racconta: «Anche per questo non ho avuto alcuna riserva nel vaccinarmi. L’ho fatto convinto che fosse una cosa necessaria per uscire da questa emergenza. Nessuno me lo ha imposto, l’obbligo di green pass è arrivato successivamente. Con mia moglie, abbiamo fatto questo passo con decisione».
A luglio il completamento del ciclo di vaccinazione Pfizer, preceduto nelle settimane prima da continui controlli di tamponi molecolari che hanno sempre escluso il contagio. Spiega Stefano Greco: «Il nostro desiderio è tornare alla normalità che abbiamo perso per mesi. Significa rivedere il locale pieno, lavorare tra la gente in sicurezza. Per questo, non riesco a capire i no vax. Cerchiamo di convincere quei nostri amici che non si sono ancora vaccinati che ne guadagneranno in libertà. Non abbiamo avuto alcun problema e credo che chi lavora con il pubblico come me abbia un doppio dovere di garantire la sicurezza. E il vaccino lo consente, non è questione di obbligo di green pass, o di costi del tampone. Io mi sento più tranquillo con il vaccino. Sono per un ritorno alla fiducia tra tutti, a una vita normale come prima».

Il badante srilankese

«Molti miei connazionali hanno preso le due dosi»

Ha 44 anni e da 23 lavora a Napoli. Amal Darshana Perera è uno dei lavoratori originari dello Sri Lanka con permesso regolare. Lavora come collaboratore domestico in una stessa famiglia da anni. Racconta: «Sono delle persone molto corrette. Nel periodo del lockdown hanno continuato a pagarmi lo stipendio, anche se non potevo andare a lavorare. Finalmente da mesi ho ripreso e ho fatto di tutto per vaccinarmi al più presto. Come me molti miei connazionali, che vivono e lavorano in Italia».
Amal ha il green pass, che ora è obbligatorio anche per il suo lavoro. Si è vaccinato con la moglie e, se avesse potuto, avrebbe fatto vaccinare anche la figlia. Ma è ancora piccola per farlo. Dice: «Con i miei connazionali abbiamo un gruppo whatsapp dove ci siamo sempre scambiati informazioni dall’inizio della pandemia. Aggiornavamo i nomi di chi si era vaccinato, qualcuno si è ammalato ma era asintomatico e si è curato a casa. Pochi della comunità sono morti, ma la paura per tutti noi è stata molta e ci ha spinto a accelerare i tempi del vaccino». Amal è contento della sua decisione, non capisce chi non vuole vaccinarsi. Per lui, il Pfizer è stato senza conseguenze. E in più con il green pass ha potuto anche andare in vacanza nel suo Paese ,per tornare poi in Italia dove vive e lavora. «Seguo tutte le regole e ho chiesto di continuo quando anche io potevo vaccinarmi fino a quando è stato possibile» dice.

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