«Io, Nadia Toffa e la telecamera nella Terra dei fuochi: il lavoro come una missione»

«Io, Nadia Toffa e la telecamera nella Terra dei fuochi: il lavoro come una missione»
di Maria Giovanna Capone
Sabato 17 Agosto 2019, 11:00 - Ultimo agg. 13:14
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Si sono conosciuti nel 2009, poco dopo l'arrivo di Nadia Toffa nella redazione de «Le Iene». E dopo alcuni servizi a Napoli, l'interesse della giornalista bresciana scomparsa martedì scorso si concentrò sulla Terra dei Fuochi e i picchi di tumori, soprattutto infantili, tra gli abitanti del triangolo della morte. A ricordarlo è Alessandro Migliaccio, giornalista d'inchiesta napoletano e autore de «Le Iene» fin dal 2001. Tanti gli aneddoti su «una donna eccezionale, professionista straordinaria, con cui avevo un legame molto intenso e affettuoso. Mi mancherà tanto e mancherà a tutte le persone che ha conosciuto».
 


Com'era Nadia Toffa durante i servizi nella Terra dei Fuochi?
«Era molto coinvolta, spesso in auto - quando spegnevo la telecamera - mentre tornavamo si sfogava e si incazzava per tutte quelle persone ammalate, per i bambini con poche speranze di vita perché il mostro, come lo chiamava, li stava uccidendo. Le dissi che secondo me respiravano un'aria piena di veleni e lei replicò vieni da me a Brescia e il veleno te lo faccio sentire io nell'aria della mia città. L'inquinamento ambientale campano non è nulla in confronto a quello bresciano. Ora, ripensando a quell'episodio, penso che forse anche potrebbe essere vittima di una Terra dei fuochi del Nord».
 
Qual era il legame con Acerra?
«Fortissimo, con don Patriciello si è immediatamente intesa e lo ha affiancato in numerose battaglie. Ma erano gli abitanti di quei luoghi a interessarle davvero, entrava in empatia con loro e quel legame non si rompeva, continuava a mantenerlo anche dopo. Fare la iena non era per lei solo lavoro ma una missione: doveva aiutare il prossimo».

Ci è tornata tante volte anche non per lavoro?
«Certo, ma anche quando eravamo lì per un servizio, lei dedicava tutto il tempo possibile a parlare a telecamere spente con la gente, amava ascoltare anche racconti di vita, non solo di morte. La invitavano a pranzo e lei accettava con entusiasmo, portava una ventata di felicità a chi magari stava soffrendo per una malattia o un grave lutto. Nadia non era una persona comune, ma assai speciale. Se entravi nella sua vita, ci restavi per sempre. Prendeva a cuore ogni impegno, non c'era la parola fine dopo la messa in onda di un servizio ma poi chiamava, si faceva aggiornare. E si sentiva napoletana d'adozione, mi mandava perfino messaggi in dialetto, Napoli era la sua città ideale ed era la prima che lottava contro i luoghi comuni. L'ultima volta mi ha scritto a Pasqua: Ale preparati, forse scendo a Napoli. Aspetto il via libera e corro. Dovevamo lavorare sempre su temi sociali forti. E invece non ha fatto in tempo a rivedere la sua amata città...».

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