L'INCHIESTA

Indagati Covid, i pm: «Dati catastrofici, ma la zona rossa avrebbe evitato oltre 4.000 morti. Conte non la fece»

Tutti gli aggiornamenti sull'inchiesta della Procura di Bergamo per epidemia colposa che vede indagati, fra gli altri, Conte, Speranza e Fontana

Inchiesta Covid Bergamo, il procuratore: «Di fronte alle migliaia di morti non potevo archiviare»
Inchiesta Covid Bergamo, il procuratore: «Di fronte alle migliaia di morti non potevo archiviare»
Giovedì 2 Marzo 2023, 11:55 - Ultimo agg. 23:55

Inchiesta Covid: la giornata

Nonostante l'impennata dei contagi tra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo e lo scenario «catastrofico» acclarato, non fu istituita alcuna zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, per altro già pronti a 'isolarsì per evitare di dover contare oltre 4 mila morti di Covid. E non fu applicato il piano influenzale pandemico, pur risalente al 2006: mancanza che ha comportato una catena di ritardi e omissioni che avrebbero poi determinato la «diffusione incontrollata» del virus. Una diffusione che in fece salire alla ribalta l'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano, epicentro delle pandemia nella bergamasca dove già, quasi in contemporanea con la scoperta di Paziente 1, erano stati registrati parecchi casi e anche vittime. Sono questi in sostanza i tre grandi temi messi nero su bianco dalla Procura di Bergamo nell'avviso di chiusura dell'indagine sulla gestione della prima ondata del Covid nella zona più colpita d'Italia, come testimoniano i dati e le immagini delle lunghe colonne di camion dell'Esercito con sopra le bare di chi ha perso la vita in questa tragedia che, dicono gli inquirenti, avrebbe potuto essere meno pesante. Indagine in cui gli indagati sono 19, e tra questi l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro Roberto Speranza - per loro due è competente il Tribunale dei Ministri con sede a Brescia - il presidente della Lombardia Attilio Fontana, l'ex assessore del Welfare lombardo Giulio Gallera, e vari esponenti di rilievo del mondo della sanità italiana, come Claudio D'Amario ex dg della prevenzione del ministero, Agostino Miozzo coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, Silvio Brusaferro, direttore dell'Istituto Superiore di Sanità, e Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile. Le accuse contestate a vario titolo, sono epidemia colposa aggravata, omicidio colposo, rifiuto d'atti d'ufficio e falsi. C'è stata «un'insufficiente valutazione di rischio», ha spiegato il Procuratore Antonio Chiappani, aggiungendo che «di fronte a migliaia di morti e alle consulenze che ci dicono che potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione». Così oggi, dopo che ieri sera erano già noti i nomi degli indagati, sono stati notificati gli avvisi di conclusione dell'inchiesta, non senza qualche polemica per il modo con cui è stato gestito il caso 'copertò da un innegabile interesse pubblico: «È vergognoso che una persona che è stata sentita a inizio indagine come informata dei fatti scopra dai giornali di essere stata trasformata in indagato. - ha sbottato Fontana - È una vergogna sulla quale non so se qualche magistrato di questo Paese ritiene di indagare. Sicuramente non succederà niente». Secondo la ricostruzione di inquirenti e investigatori, riportata nell'atto, la mancata istituzione della zona rossa avrebbe causato «la diffusione dell'epidemia» in Val Seriana con un «incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati» qualora fosse stata disposta dal 27 febbraio 2020 o da Conte o da Fontana. L'allora presidente del Consiglio, invece, assieme ai componenti del Cts, nelle riunioni del 29 febbraio e 1 marzo 2020, si sarebbe «limitato a proporre (...) misure meramente integrative, senza ancora una volta, prospettare di estendere» la decisione già adottata nel Lodigiano, «nonostante l'ulteriore incremento del contagio» e «l'accertamento delle condizioni che (...) corrispondevano allo scenario più catastrofico». In merito alla mancata applicazione del piano pandemico esistente si imputa a Brusaferro di aver proposto non tanto la sua «attuazione» bensì «azioni alternative, così impedendo l'adozione tempestiva delle misure in esso previste». Accusa, questa di cui risponde tra l'altro Speranza con gli allora suoi tecnici e, per non aver applicato il piano regionale Gallera e l'ex dg del Welfare Luigi Cajazzo. Infine il capitolo che riguarda l'ospedale di Alzano per cui sono indagati i vertici e dirigenti della Asst di Bergamo Est: secondo l'ipotesi non furono adottate misure per contenere il virus e il suo pronto soccorso venne chiuso e poi riaperto senza l'adeguata sanificazione. Ciò ha comportato un accelerazione dei contagi e la morte pure di qualche medico. «Ritengo di aver agito con la massima umiltà nel confronto con gli esperti» e «con il massimo senso di responsabilità e il massimo impegno», è ritornato a commentare in serata Conte. «Ci sono delle verifiche giudiziarie in corso, ben vengano. Risponderò nelle sedi opportune ma non vi aspettate da me show mediatici».

Conte: «Ben vengano le verifiche, ma non farò show mediatici»

«Ritengo di aver agito con la massima umiltà nel confronto con gli esperti» e «con il massimo senso di responsabilità e il massimo impegno». «Ci sono delle verifiche giudiziarie in corso, ben vengano. Risponderò nelle sedi opportune ma non vi aspettate da me show mediatici». Lo ha dichiarato il presidente del M5s Giuseppe Conte al termine del Consiglio nazionale del Movimento parlando della vicenda di Bergamo.

 

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Iss: non è nei poteri di Brusaferro adottare piani pandemici

«Non è nei poteri del Presidente dell'Istituto adottare piani pandemici o dar seguito alla loro esecuzione». È quanto si legge in una nota dell'Iss relativamente «a quanto si apprende da organi di stampa secondo cui il Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro avrebbe impedito l'adozione del piano pandemico». «La linea seguita dall'Istituto, su indicazione del suo Presidente, durante tutto il periodo della pandemia e sin dagli inizi, è stata improntata alla massima precauzione e al massimo rigore scientifico», si spiega nella nota.

 «La cautela è stata la cifra che ha caratterizzato gli indirizzi dell'Istituto in tutte le fasi della pandemia. Si aggiunge, inoltre, che al Presidente, al momento attuale, non è stato notificato alcun atto relativo all'inchiesta», conclude l'Istituto.

Pm: atti falsi su gestione focolaio ospedale di Alzano

Roberto Cosentina, all'epoca direttore sanitario della Asst di Bergamo Est, avrebbe attestato il falso in una nota in cui diceva che «non appena avuto il sospetto e la successiva certezza della positività al tampone sono state immediatamente adottate le misure previste» all'ospedale di Alzano Lombardo. E Francesco Locati, all'epoca dg della stessa Asst, avrebbe scritto falsità «nelle relazioni dell'8.4.2020 e del 10.4.2020» sostenendo che «nel breve lasso di tempo in cui il Presidio è stato chiuso il 23.2.2020 "si è provveduto alla sanificazione degli ambienti con l'adozione di tutte le misure previste"». Sono solo una parte delle imputazioni contestate dai pm di Bergamo nel capitolo dell'inchiesta sulla riapertura del pronto soccorso dell'ospedale della Val Seriana. A Locati, Cosentina e Giuseppe Marzulli, dirigente dell'ospedale, vengono contestati anche l'epidemia colposa, l'omicidio e le lesioni colpose. Non sarebbe stato effettuato, tra le altre cose, «uno screening radiologico Tac ai pazienti ricoverati al 23 febbraio 2020, che manifestavano una insufficienza respiratoria, al fine di pervenire ad una diagnosi di Covid per almeno 25 pazienti». Così nell'ospedale ci fu, si legge, «un incremento stimato non inferiore al contagio di 35 operatori sanitari». Lavoratori a cui non sarebbero stati forniti «i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale». Locati, inoltre, avrebbe attestato il falso scrivendo che «dalle prime due segnalazioni», e dunque già dal 23 febbraio, erano «stati fatti tamponi "a tutti i pazienti con sintomatologia respiratoria"». Indagato per falso pure Massimo Giupponi, in qualità di dg dell'Ats di Bergamo, per una «nota protocollata» del 28 maggio 2020 «inviata a Regione Lombardia in risposta all'interrogazione del consigliere Carretta». Attestò, tra le altre cose, che il 23 febbraio c'era stata la «creazione di aree di isolamento per pazienti che accedevano al Pronto Soccorso». In realtà i «pazienti positivi erano rimasti» là «per diversi giorni». È accusato anche di rifiuto d'atti d'ufficio.

Crisanti e la sua consulenza: «Restituita agli italiani la verità sulle decisioni»

Nella perizia sulla gestione del Covid nella Bergamasca «abbiamo dovuto usare delle metodologie innovative, perché nessuno prima aveva osato affrontare dal punto vista periziale una situazione così complessa. Per risolvere il problema dell'ospedale di Azzano abbiamo usato le metodologie che vengono usate per i disastri aerei, per scandagliare in maniera minuziosa ogni possibile relazione causale» Lo ha riferito all'ANSA il prof. Andrea Crisanti. «Abbiamo utilizzato dati - ha aggiunto - che ci hanno permesso di ricostruire puntualmente giorno per giorno la dinamica dell'epidemia e utilizzato modelli matematici altamente predittivi».

«La motivazione principale mia e della procura è stata tentare di restituire agli italiani la verità su quelli che sono stati i processi decisionali che hanno portato a determinate scelte. Con la consulenza è stata fornita una mappa logica su quello che è successo».

I familiari delle vittime: ci dovete la verità

«Il sacrificio dei nostri cari non sia vano. Mai più una pandemia, una qualsivoglia emergenza, ci trovi impreparati». È l'appello lanciato da Consuelo Locati, dell'associazione "Sereni e sempre uniti" che rappresenta i familiari delle vittime di Covid, sentita oggi in audizione informale in Commissione Affari sociali della Camera nell'ambito dell'esame delle proposte di legge per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19. «Noi vogliamo sapere che cosa è successo, non ci interessa la politica. A voi noi chiediamo un'altra verità», dice. «Voi avete il dovere ridare a tutti noi la speranza di credere in qualcosa, la verità».

«Siamo stati abbandonati, ci siamo sentiti di vivere in una realtà surreale. La Bergamasca è stato il luogo della strage più devastante dal secondo Dopoguerra. In un mese circa sono decedute più di 6mila persone come eccesso di mortalità rispetto ai 5 anni precedenti», evidenzia Locati che pone una serie di domande: «Perché non si è intervenuti almeno a partire dal 5 di gennaio del 2020 al primo alert dell'Oms? Perché non ci è stato comunicato che il virus era già nelle nostre case e, invece di metterci al corrente del rischio che correvamo, ci dicevano che tanto era poco più di una banale influenza? E nella Bergamasca perché non si è intervenuti subito a isolarci? Noi chiedevamo di essere isolati, ma nessuno lo ha mai fatto.

Perché sono stati inviati i militari nella Bergamasca il 5 marzo del 2020 e poi sono stati ritirati tre giorni dopo? Non può di certo essere un segreto di Stato, questa spiegazione non possiamo accettarla».

Locati cita poi «il piano pandemico non adeguato, non attuato». La verità, incalza, «è che dovevamo essere pronti e non lo eravamo. Chi ci rappresenta ufficialmente ci dia risposte chiare, sincere, trasparenti - esorta - Riteniamo di avere questo diritto, perché riteniamo che queste risposte rappresentino il rispetto che le nostre istituzioni riconoscono a noi familiari e prima ancora ai nostri cari che non ci sono più. Noi abbiamo dato fiducia al Parlamento, ma finora questa fiducia non ci è stata ripagata. La Commissione d'inchiesta sarebbe la prova che anche le istituzioni vogliono riprendere una relazione coi propri cittadini. E le risposte devono essere date in tempi ragionevoli. A noi non serve un giorno per ricordare i nostri cari, perché li ricordiamo tutti i giorni e promettiamo loro che avranno giustizia e non solo nei tribunali, ma anche attraverso quelle verità che solo il Parlamento ci può dare. L'auspicio è che venga istituita una Commissione d'inchiesta bicamerale proprio per mantenere alta l'attenzione su una delle pagine più buie della nostra storia, perché analizzare ogni errore e ogni sbaglio serve perché la strage che abbiamo vissuto non si ripeta più».

Pm: Fontana non segnalò a Conte criticità in Val Seriana

Attilio Fontana con due «distinte mail del 27.2.20 e 28.2.20» chiese «al Presidente del Consiglio dei Ministri» Giuseppe Conte «il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Regione Lombardia, non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana», in particolare Alzano Lombardo e Nembro. Lo scrive la Procura di Bergamo nell'imputazione per epidemia colposa, per la mancata attuazione della 'zona rossà, a carico del presidente lombardo. Non richiese, dunque, «ulteriori e più stringenti misure di contenimento» nonostante, scrivono i pm, «avesse piena consapevolezza della circostanza che l'indicatore 'r0' avesse raggiunto valore pari a 2, e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in grave difficoltà per il numero dei casi registrati e per il numero dei contagi tra il personale sanitario». La contestazione per Fontana va «dal 26.2.2020 sino al 3.3.2020», data in cui «nel corso della riunione del CTS Regione Lombardia per il tramite dell'Assessore al Welfare esprimeva parere favorevole all'istituzione della zona rossa».

 

 

Pm Bergamo: «Brusaferro impedì adozione misure anti-Covid»

Il direttore dell'Iss Silvio Brusaferro, nonostante le raccomandazioni e gli alert lanciati dall'Oms a partire dal 5 gennaio 2020 avrebbe proposto «di non dare attuazione al Piano pandemico, prospettando azioni alternative, così impedendo l'adozione tempestiva delle misure in esso previste». Lo scrivono i pm di Bergamo nell'avviso di chiusura dell'indagine sulla gestione del Covid in cui Brusaferro è indagato per epidemia colposa e rifiuto di atti d'ufficio con, tra gli altri, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, Claudio D'Amario ex dg della prevenzione del ministero, e con Angelo Borrelli, ex capo della Protezione Civile.

 

 

Crisanti: restituita agli italiani verità su decisioni

«La motivazione principale mia e della procura è stata restituire agli italiani la verità su quelli che sono stati i processi decisionali che hanno portato a determinate scelte. Con la consulenza è stata fornita una mappa logica su quello che è successo». È il commendo di Andrea Crisanti, microbiologo all'Università di Padova e ora senatore del Pd, che ha firmato la maxi consulenza depositata ai pm di Bergamo nell'indagine sulla gestione del Covid nella Bergamasca che vede tra gli indagati l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex misitro Roberto Speranza e il governatore della Lombardia Attilio Fontana.

Pm: zona rossa avrebbe evitato oltre 4mila morti

Il Governatore lombardo Attilio Fontana avrebbe causato «la diffusione dell'epidemia» in Val Seriana con un «incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati» se fosse stata «estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio 2020». Lo scrive la Procura di Bergamo in un'imputazione per epidemia colposa di cui risponde anche l'ex premier Giuseppe Conte, la cui posizione è stata trasmessa, però, al Tribunale dei ministri.

Parenti delle vittime: ora si riscrive la storia

Emozione stamane fra i parenti delle vittime di Covid davanti alla Procura di Bergamo dopo che ieri è stata chiusa l'indagine sulla gestione della prima fase della pandemia. Con loro c'era l'avvocato Consuelo Locati, che coordina il team dei legali. «C'è grande gratitudine adesso - hanno sottolineato i familiari - perché per noi si riscrive la storia in questo momento. È ormai chiaro che non è stato uno tsunami improvviso e che qualcuno sarebbe dovuto intervenire». I familiari delle vittime hanno portato con sé gli esposti a loro tempo presentati proprio in Procura a Bergamo.

Pm: Conte e Speranza hanno causato morte di persone

L'ex premier Giuseppe Conte e l'allora ministro della Salute Roberto Speranza, assieme ad altri indagati tra cui il Governatore lombardo Attilio Fontana, hanno «cagionato per colpa la morte» di una cinquantina di persone. Lo scrive la Procura di Bergamo nell'avviso conclusione indagini notificato a 17 persone.

Procuratore Bergamo: «Zona rossa era prevista»

Con un «decreto» del «23 febbraio 2020 era stata richiamata la legislazione sanitaria precedente, per cui nel caso di urgenza c'era la possibilità sia a livello regionale sia anche a livello locale di fare atti contingibili e urgenti in termine tecnico, cioè di chiudere determinate zone, c'era questa possibilità e poteva essere fatto proprio in virtù di questo diretto richiamo, fatto in un decreto di emergenza del 23 febbraio». Lo ha spiegato il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani, ai microfoni di Radio24, in merito all'inchiesta appena chiusa sulla gestione della pandemia e in particolare al tema della "zona rossa".

Procuratore Bergamo: «Insufficiente valutazione di rischio»

C'è stata una «insufficiente valutazione di rischio». Lo ha spiegato, ai microfoni di Radio24, il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani parlando dell'inchiesta sulla gestione della pandemia Covid, chiusa a carico, tra gli altri, dell'ex premier Giuseppe Conte e dell'ex ministro Roberto Speranza. «Il nostro scopo - ha detto - era quello di ricostruire cosa è successo e di dare una risposta alla popolazione bergamasca che è stata colpita in un modo incredibile, questa è stata la nostra finalità, valutare se un'accusa può essere mantenuta come noi valutiamo di fare proprio per questa insufficiente valutazione di rischio».

Chiappani ha ribadito che si è trattato di una «inchiesta complessa», di «ricostruzione di vite spezzate», chiarendo che si dovranno «dimostrare anche i nessi di causalità tra le morti e gli ipotizzati errori o mancanze». C'è stata, ha spiegato, una «insufficiente valutazione del rischio pandemico» e, sul fronte della mancata "zona rossa" nel Val Seriana, il procuratore ha precisato che l'indagine vuole dare una «risposta certa» su chi avesse la competenza di chiudere. Dal punto di vista giuridico, ha proseguito, c'era un decreto del 23 febbraio, ma poi si tratta anche di un «problema di fatto: sulla consapevolezza che poteva avere un sindaco che si fosse in una situazione di emergenza. E quindi - ha aggiunto - si rimanda al problema della ricostruzione dei dati che erano in possesso del sindaco o di un amministratore o di un presidente di regione o di un ministro».

Il problema della «nostra indagine», ha spiegato, «è capire quale fosse il grado di conoscenza al fine di poter fare interventi di urgenza». Sulla questione del piano pandemico, infine, ha detto che «il problema qui è che va distinto l'aggiornamento dall'attuazione del piano, perché un piano, seppur vecchio del 2006, c'era e c'erano stati anche altri piani, come per la peste suina, che dicevano comunque che quando c'erano delle patologie di tipo respiratorio e contagi c'erano già delle forme di intervento previste». Tuttavia anche quel piano vecchio, secondo i pm, non fu attuato.

Procuratore Bergamo: «Di fronte alle migliaia di morti non potevamo archiviare»

«Di fronte alle migliaia di morti e le consulenze che ci dicono che questi potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione»: così ha detto il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani alla trasmissione Agorà su Rai3 parlando dell'inchiesta appena chiusa sul Covid nella Bergamasca.

«La nostra scelta - ha aggiunto Chiappani - è stata quella di offrire tutto il materiale raccolto ad altri occhi, che saranno quelli di un giudice, di un contraddittorio con i difensori perché è giusto che la ricostruzione la diano gli interessati e da tutto questo ricavare l'esperienza non solo di carattere giudiziario, ma anche scientifico, amministrativo» quindi «una lezione, una grandissima riflessione». La speranza del procuratore è che «al di là delle accuse, delle polemiche che senz'altro ci saranno» questo sia «uno strumento di riflessione».

A tre 3 anni dallo scoppio della pandemia Covid che tra febbraio e aprile 2020 ha straziato la Bergamasca con 6mila morti in più rispetto all'anno precedente, è stata chiusa l'inchiesta per epidemia colposa con 19 indagati tra cui Conte, Speranza e Fontana. Tra i 17 avvisi di conclusione d'indagini che saranno notificati oggi ci sono Brusaferro, Locatelli e Borrelli; per ex premier ed ex ministro della Sanità gli atti saranno trasmessi invece al Tribunale dei ministri. Conte si dice «tranquillo».

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