L’inedito intreccio che devasta la Capitale

di Carlo Nordio
Sabato 6 Giugno 2015, 00:06 - Ultimo agg. 12:08
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Secondo le regole del giornalismo, la vera notizia non è il cane che morde il postino, ma il postino che morde il cane. L’inversione dei tradizionali connotati dell’aggressore e dell’aggredito, della vittima e del carnefice, hanno costituito le fonti dei racconti più noti. Nessuno saprebbe chi era il potente Oloferne se la gracile Giuditta non avesse segato il suo collo taurino.

Noi non possiamo, nè intendiamo commentare il merito dell’inchiesta di Mafia Capitale a Roma, ma le novità che emergono dalla stampa ci rievocano questi straordinari capovolgimenti di ruoli. Nella storia della corruzione, infatti, si è assistito ad uno sviluppo che può riassumersi così: inizialmente, un predominio della “politica” sull’economia, attraverso l’imposizione di tangenti finalizzate al finanziamento dei partiti, e occasionalmente all’arricchimento personale. In seguito, un’iniziativa degli imprenditori più spregiudicati per accaparrarsi i politici nella distribuzione dei favori. Infine, una sorta di presa d’atto di un sistema consolidato, nel quale la mazzetta era un ordinario costo produttivo: quella che, in giuridichese, veniva chiamata concussione ambientale. Nella tradizionale tangentopoli questo sistema era garantito da una ferrea divisione di appalti alle imprese amiche dei vari partiti, ai quali venivano devoluti, in modo diretto e indiretto, cospicue porzioni dei profitti conseguiti. In questo contesto era difficile capire se l’iniziativa partisse dall’amministratore o dall’imprenditore. Ma se la risposta era importante sotto il profilo del codice, la domanda era oziosa sotto quello del risultato: si faceva così perché non si poteva fare altrimenti. La politica era forte, e intimidiva. L’odierna novità è che si è passati dall’intimidazione della forza politica alla forza dell’intimidazione mafiosa. L’inversione di ruoli che emerge dall’inchiesta romana, se l’ipotesi accusatoria sarà confermata, configura infatti una visione inedita di intrecci illeciti.



Le tradizionali figure della corruzione e della concussione si dissolvono e si decompongono, per rivivere nelle sembianze di un mostro tentacolare che divora personaggi di destra, di centro e di sinistra, imprenditori e faccendieri, ex terroristi rossi e neri, cooperative assistenziali laiche e religiose, in una tavola di reati dove si insedia, tra quelli noti e citati, il neoconvitato dell’estorsione. Nel catalogo nero delle vicende tangentizie non si era mai visto un capitolo di tale gravità.

La domanda finale è se la contestazione di questo particolare reato associativo sia un modulo esportabile per le indagini future. La risposta dipenderà, ovviamente, dai fatti che ne costituiranno l’oggetto. Tuttavia, se l’accusa fosse confermata, l’intera nostra filosofia investigativa andrebbe rimeditata e forse cambiata. Fenomeni di tale complessità e pericolosità non nascono infatti per un’improvvisa crisi civile o economica, ma affondano le radici in una degenerazione patologica più generale, che anticiperebbe inevitabilmente un collasso istituzionale.



Di conseguenza, anche se simpatizziamo con i magistrati romani per la loro tenacia e competenza, come cittadini dobbiamo auspicare che questo reato infamante non sia entrato, subdolamente e capillarmente, nel cuore della nostra capitale. Insomma, per carità di Patria, speriamo che ancora una volta sia stato il cane a mordere il postino, e non viceversa.