W l'Italia! È la domenica del tricolore, il Paese avvolto nella sua bandiera vuole esplodere di gioia

W l'Italia! È la domenica del tricolore, il Paese avvolto nella sua bandiera vuole esplodere di gioia
di Antonio Menna
Sabato 10 Luglio 2021, 23:19 - Ultimo agg. 11 Luglio, 19:01
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Usiamola senza pudore, per una volta, questa parola così impegnativa. Ma oggi è proprio liberazione. Senza scomodare precedenti storici ben più significativi, e senza voler di nuovo rilanciare la retorica della pandemia come guerra, ma dopo questo interminabile Grande inverno, questa discesa nel gelo con un virus che ha insinuato diffidenza e paura fin dentro le famiglie, tra madri e figli, tra nonni e nipoti, si è accesa una luce negli occhi degli italiani, oggi, con questa finalissima degli Europei di calcio. Si sente da giorni una frenesia nell’aria, ci si incontra e la prima cosa che si chiede è: dove guardi la partita stasera? C’è chi si organizza con gli amici nel giardino di casa. C’è chi ha allestito la sua curva personale nel salotto, e si stringe a pochi familiari. C’è chi approfitta della bella stagione, questo luglio caldissimo come un grembo materno, e prenota ristoranti, bar, pub, con tavolino e sedia in prima fila; c’è chi, infine, ha proprio voglia di piazza e vuole andare a mescolarsi ad altri tifosi, con addosso una maglia azzurra (quella di Baggio di Usa ‘94 o quella di Paolo Rossi di Spagna ‘82 o quella di Cannavaro del 2006: vanno tutte bene purché siano azzurre), una tromba, un rumore qualunque, pronto a incitare, arrivando ai piedi dello schermo ore prima perché la grande partita della vita ha sempre il gusto migliore nell’attesa. E guai a parlare del dopo-partita, quello non si organizza, si improvvisa. La parola vittoria non si pronuncia, ma neppure sconfitta perché la sensazione è netta: non perderà nessuno perché avere tutto questo è già vincere

Sono ricomparse anche le bandiere sui balconi. L’ultima volta è stata proprio con il primo lockdown: esporre il tricolore come per stringersi l’uno all’altro, cantare insieme, sentire la nazione, nel momento della paura. Poi quella tensione ideale è sfumata, le bandiere sono rientrate, il canto si è spento sotto i colpi dell’alienazione, della crisi, della stanchezza, dello sforzo che non finisce mai e per questo, alla fine, ti tempra. Ma il desiderio, no, il desiderio è lì. È sotto la cenere, c’è una gran voglia di ritrovarsi uniti, in qualche modo, dopo essere stati così lontani. E ora il tricolore ricompare, fa capolino dalle finestre, sventola sulle ringhiere, compare perfino sui simboli del turismo, nel cuore dei paesaggi, appare a Capri, sui monumenti storici a Roma, in pieno centro a Milano: la speranza, la fede, l’amore. C’è tutto questo nei tre colori di una giornata così. 

 


La festa, poi, sopra ogni cosa. La voglia di fare festa. Si montano schermi in decine di paesini della Puglia, della Campania, a Pescara, sulle isole. Grandi raduni a Piazza del Popolo, al Pincio, ai Fori Imperiali, al Circo Massimo a Roma. Dal centro alla periferia, la Capitale è disseminata di maxischermi: villa Ada, Annibaliano, Talenti, San Comisato, Tor Bella Monaca, Ladispoli. Con i monumenti che, però, al fischio finale saranno presidiati speciali dai vigili urbani, per il timore soprattutto di bagni collettivi nelle fontane. Lo stesso a Firenze, ztl per tutta la notte e monumenti sorvegliati fino all’alba. A Rimini, maxischermo sul lungomare, per tenere insieme italiani e turisti stranieri che sono tornati, anche se un po’ spaventati. In Versilia, invece, retromarcia della Fondazione Versiliana che prima ne voleva montare uno allo Spazio Incontri Agorà di Tonfano e poi ha pensato che fosse meglio evitare. Ma dove non sono le piazze - anche per i divieti di alcuni sindaci giustamente preoccupati - ci sono i locali pubblici che spostano i loro enormi televisori sui ballatoi. Oppure locali che offrono viste mozzafiato, come succede all’undicesimo piano del Renaissance Naples Hotel, per lo Sport Night, la finalissima direttamente sul golfo di Napoli. 

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Si ha tutti un desiderio furioso di buttare giù la diga, di prendere a morsi il filo spinato, di picconare il muro di Berlino e poi salirci su trionfanti con una pietra da mostrare sul mobile buono per tutta la vita. Abbracciame cchiù forte, si cantava a Napoli sulle note di Andrea Sannino, nei giorni duri del primo lockdown, quando l’abbraccio era solo la luce di una candela su un balcone, per darsi coraggio. Adesso, invece, l’abbraccio è qui. Gli italiani non vedono l’ora di rompere gli argini, di saltare dalla sedia, di tornare a stringersi sbronzi di gioia, come se non fosse esistito nulla di tutto quello che è successo negli ultimi pazzi 17 mesi. Come a Capodanno, a mezzanotte in punto, si lanciano lontano i cattivi ricordi, ci si libera di cimeli del malaugurio e si affida al calice alto il compito di guidarci verso qualcosa di tutto nuovo. Poi non succederà, perché la vita è più complicata di una partita di calcio, fosse anche una finale, e non bastano i novanta minuti, ma il rito è già liberazione. Usiamola, quindi, questa parola per una finale di calcio. Non sembri blasfemo, non appaia esagerato. Usiamola senza paura, la parola liberazione, e del resto così hanno già deciso tutti. Pronti, partenza, via. L’Italia s’è desta. 

E poi, certo, certo, che facciamo attenzione. C’è la variante Delta, contagiosissima. La pandemia non è finita. Ci dà una piccola tregua, con il gran caldo, la stagionalità dei virus influenzali, e la curva bassa di ritorno di ogni ondata. Ma il virus è ancora qui, dicono gli esperti preoccupatissimi. Ci sono troppi non vaccinati che rischiano grosso, e potrebbe non bastare il vantaggio dell’estate, e potrebbe non essere sufficiente l’aria aperta. Certo che si fa attenzione, certo che si ascolta l’appello di chi chiede di festeggiare con la mascherina, con sobrietà, con attenzione, addirittura di guardare la partita con il distanziamento. Certo che ci si ricorda che alla fine è un attimo a tornare al via, come questa pandemia da rompicapo ormai ci ha insegnato: quando tutto sembra finito, tutto ricomincia. Va bene tutto ed è tutto saggio, pieno di buon senso. Ma stasera c’è la finale degli Europei di calcio, e arriva come un getto d’acqua su un viandante che ha affrontato il deserto. Arriva come un bacio dopo un lungo dolore. Questa è una festa di liberazione, e quando si sente il profumo dolcissimo della libertà, la gioia scatta – ed è già una festa poter festeggiare - e si corre a perdifiato anche sulle mine – lo sanno bene i prigionieri di guerra che ritrovano la libertà e se ne ubriacano - e ci si affida alla buona stella, confidando nella possibilità – possiamo escluderlo? - che anche il signor Corona Virus per questa sera si sia preso una paura, almeno in Italia e in Inghilterra, e abbia scelto un bar comodo dove guardare la partita e riposare un po’. Si spera da solo. Non siate irresponsabili, ammoniscono le autorità. Qualcuno prova a vietare i maxischermi, qualcun altro vieta l’alcol, qualche sindaco vuole mandare la polizia municipale. Tutto comprensibile e tutto saggio. Chi si preoccupa ha ragione di farlo e lo fa per tutti noi. Proveremo ad ascoltare. Ma non si rinuncia alla festa e nella festa – non nascondiamocelo – non c’è solo una partita di calcio. Ma un esplosivo, incontenibile, desiderio di tornare alla vita, che poi è proprio questo sentimento condiviso, questa voglia di abbracciare gli sconosciuti, di ridersi in faccia, di urlare a squarciagola, di fare insieme un solo, unico, grande coro di goccioline. E che la buona sorte sia con noi. 

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