Terremoto, Meletti (Ingv): l'Appennino
si sta lacerando una parte si muove verso Est

Terremoto, Meletti (Ingv): l'Appennino si sta lacerando una parte si muove verso Est
di Valentina Arcovio
Giovedì 25 Agosto 2016, 08:38 - Ultimo agg. 26 Agosto, 09:20
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ROMA «Il terremoto che ha colpito il Centro Italia due notti fa ha avuto luogo nello spazio rimasto scoperto tra i due altri grandi terremoti avvenuti negli ultimi 20 anni, quello del 1997 di Colfiorito e quello del 2009 a L'Aquila». A spiegare cosa è successo e come si sta evolvendo la situazione nel sottosuolo delle aree colpite da quest'ultimo devastante terremoto è il sismologo Carlo Meletti, responsabile del Centro di pericolosità sismica dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).

Non è quindi un caso che questo terremoto si sia sprigionato da una faglia vicina a quelle di Colfiorito e L'Aquila?
«E' un qualcosa che non possiamo escludere. Certamente sapevamo che questa zona ha una storia sismica lunga almeno 1000 anni. Sappiamo inoltre che ci sono stati terremoti simili se non un po' più forti in passato. Come quello che è avvenuto nel 1639: le scosse sono state presumibilmente della stessa entità se non addirittura più intense. L'alta pericolosità sismica della zona appenninica non è di certo un mistero».

Ma cosa ha scatenato quest'ultimo terremoto?
«Il movimento di una faglia che si estende su circa 20 chilometri di lunghezza e a una profondità di 5 chilometri. Si tratta di una faglia di dimensioni analoghe a quella da cui è scaturito il terremoto de L'Aquila nel 2009. La faglia coinvolta è di tipo distensivo. In pratica, parte dell'Appennino si muove verso l'Adriatico, mentre un'altra parte resta indietro. Come se si tirassero due lembi di un lenzuolo fino a strapparlo. In questo modo l'Appennino si sta lacerando».

E' possibile che questo terremoto abbia riattivato altre faglie e che, presto o tardi, queste diano origine a un altro terremoto?
«Anche questa è un qualcosa che non possiamo sapere. Non abbiamo alcuna certezza. Con le nostre attuali conoscenze, infatti, non siamo in grado di valutare lo stato di una faglia. Sappiamo che prima di un terremoto si crea uno stato di tensione, ma noi ce ne accorgiamo solo quando la roccia si spacca perché non regge più alla deformazione. Attualmente, infatti, non c'è modo di misurare la tensione di una faglia. E né tanto meno di prevedere dove e quando ci sarà un terremoto».

Non ci sono state scosse di avvertimento, come invece è successo a L'Aquila nel 2009?
«No, nessuna. La prima forte scossa di terremoto è stata davvero improvvisa, non c'è stata quindi alcuna avvisaglia. Del resto lo sappiamo che i terremoti non si possono prevedere e che non danno alcun allarme. Tuttavia, anche se ignoravamo il quando, sapevamo che sarebbe successo primo poi. E' un fenomeno naturale che fa parte della vita della Terra e la nostra area appenninica è ad alto rischio sismico».

Ora possiamo aspettarci nuove sequenze sismiche, anche intense come la prima?
«Sì. Già dopo la prima forte scossa ne sono state registrate molte altre. E molte altre verranno registrare. Probabilmente sarà così per settimane e mesi. Inoltre, non possiamo escludere scosse di magnitudo superiore a 5».